Il bello della solitudine nell'era della vanità

9 Marzo 2019

«C’è una pace meravigliosa nel non pubblicare». Aveva 55 anni e aveva smesso di pubblicare le sue opere da nove, J. D. Salinger, quando pronunciò questa frase. L’autore del “Giovane Holden”, breviario di sopravvivenza per i giovani del secondo dopoguerra, lo scrittore americano scomparso nel 2010 aveva continuato a scrivere ma cessato di inviare i suoi manoscritti agli editori. Adesso il figlio di Salinger, Matt, ha confidato al quotidano The Guardian che a breve inizierà la pubblicazione di quanto suo padre ha scritto, e mai pubblicato, negli anni del ritiro in New Hampshire. Nell’era della vanità in cui siamo immersi appare quasi incomprensibile che qualcuno lavori per il gusto di lavorare, senza esibire i prodotti della sua operosità. Per Salinger la ritrosia a misurarsi con il mondo era una forma di misticismo, un ritrarsi dalla vita che non cessa di affascinare i suoi fan. «Il suo isolamento assunse la forza di una religione, in quanto Salinger considerava la scrittura una chiamata spirituale», spiega in un’intervista al Venerdì di Repubblica, Kenneth Slawenski, biografo dello scrittore. «Quella chiamata imponeva che lui scrivesse perché era un dono che gli aveva dato Dio». Un dono da coltivare nell’ombra, l’unico posto dove, secondo Cartesio, la vita vale davvero la pena di essere vissuta.


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