Il filo della speranza nella notte oscura

21 Marzo 2020

Non è la clausura a cui siamo costretti che ci fa soffrire. È la paura. ll filo che lega il presente al futuro si assottiglia mano a mano che aumentano i numeri della morte, in questi giorni del virus. È lo snervamento della speranza che ci spaventa. Ma sperare è necessario. Nel 1959 Ernst Bloch, il filosofo tedesco che attraversò la tempesta dell’antisemitismo e della seconda guerra mondiale, scrisse un libro che si intitola “Il principio speranza”. Alle sue parole possiamo affidare ciò che resta della nostra capacità di immaginare un ritorno al mondo di prima. Eccole. «L'importante è imparare a sperare. Il lavoro della speranza non è rinunciatario perché di per sé desidera aver successo invece che fallire. Lo sperare, superiore all'aver paura, non è né passivo come questo sentimento né, anzi meno che mai, bloccato nel nulla». Ma come è possibile sperare, immersi come siamo oggi nella nostra notte oscura? «L'affetto dello sperare», dice ancora Bloch, «si espande, allarga gli uomini invece di restringerli, non si sazia mai di sapere che cosa internamente li fa tendere a uno scopo e che cosa all'esterno può essere loro alleato. Il lavoro di questo affetto vuole uomini che si gettino attivamente nel nuovo che si va formando e cui essi stessi appartengono».
©RIPRODUZIONE RISERVATA