Mazzette e appalti, l'ora della politica

1 Ottobre 2017

Da tempo cerchiamo di richiamare l’attenzione su queste malversazioni che richiederebbero una rigenerazione del sistema attraverso l’introduzione di nuove regole di selezione della classe politica

I lettori che hanno ancora forza e stomaco per seguire il dipanarsi dell’ennesima vicenda giudiziaria relativa ad appalti e mazzette scoperchiata dalla procura di Avezzano e raccontata dal nostro Roberto Raschiatore si saranno certamente accorti a quale punto siamo arrivati nella manomissione delle pubbliche gare. Appalti pilotati nei settori più disparati e per gli importi più vari. Con politici e pubblici funzionari che fanno carne di porco dei loro doveri d’ufficio e delle istituzioni in cambio di bustarelle, favori per fratelli e amici, incarichi per fidanzate e, persino, una porchetta. Sì, una porchetta. In una regione alle prese con una crisi economica infinita, una disoccupazione da record e famiglie disperate, l’andazzo è francamente intollerabile. Frutto certo di una propensione a delinquere dei singoli, ma anche di uno sfilacciamento della politica che, a causa del dissolversi dei partiti organizzati, vedono emergere ras locali e gruppi di potere che a nessuno rispondono se non al capobastone di turno e che si candidano e vincono elezioni, si insediano ai vertici delle amministrazioni solo per riscuotere prebende e farsi gli affari propri.

Da tempo cerchiamo, inascoltati, di richiamare l’attenzione su queste malversazioni che richiederebbero una rigenerazione del sistema attraverso l’introduzione di nuove regole di selezione della classe politica in grado di fornire eletti all’altezza dei propri compiti e doveri. Oltre che la messa in campo di un sistema di controlli capace di frenare e impedire le illegalità.
È, questo, un compito che spetta sicuramente alla politica, se la politica vuole giocare o tornare a recitare il ruolo che naturalmente le spetta. Lascia infatti sbigottiti il fatto che di fronte alle rivelazioni del Centro sulle ruberie e reati documentati dalla procura di Avezzano e che vedono protagonisti sindaci e altri pubblici amministratori, a parte le solite eccezioni, praticamente quasi nessun partito o grande leader regionale si sia sentito in dovere di condannare fatti e protagonisti con la forza necessaria. In compenso, ci pensano i magistrati e le forze di polizia a tracciare i contorni delle conseguenze del malaffare. Delineando uno spaccato a dir poco sconfortante laddove, per esempio, si denuncia la presenza di «un sistema corruttivo endemico, originato dalla presenza in molteplici enti pubblici e sistemi del territorio regionale, di amministratori o funzionari inclini a fare mercimonio dei pubblici affidamenti con metodi delinquenziali e consuetudinari, a spregio delle più elementari norme che dovrebbero regolare il buon andamento, la correttezza e l'imparzialità della pubblica amministrazione». Insomma, «un malcostume dilagante nella gestione e affidamento degli appalti pubblici in tutta la regione». Proprio così, in tutta la regione. Un malcostume che «ha raggiunto livelli di guardia preoccupanti, tant’è che nessuna provincia può considerarsi immune da tali pratiche corruttive».
Ecco, questa è la situazione, nessuna provincia abruzzese immune dal cancro dell’illegalità e della corruzione. Una situazione davanti alla quale una domanda sorge spontanea per chi ricopre incarichi dirigenti nei partiti e nelle istituzioni, o che si candida a ricoprire tali incarichi nei partiti e nelle istituzioni coinvolte negli scandali: signori, che vogliamo fare? Come pensate di mettere un freno a questo andazzo? Pensate che la politica possa tornare a recitare un ruolo alto ristabilendo legalità e rispetto delle regole tra gli eletti chiamati a gestire la cosa pubblica o vogliamo lasciare tale compito solo alle forze di polizia e alla magistratura?
Primo Di Nicola
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