Morire di selfie per provare di essere vivi

6 Ottobre 2018

Tra il 2011 e il 2017 ci sono stati, in tutto il mondo, 259 morti a causa di selfie scattati in situazioni spericolate. Le cifre delle vittime di questa mania dell’autoscatto sono fornite da uno studio pubblicato sul Journal of Family Medicine and Primary Care dell'All India Institute of Medical Sciences. Quasi tre quarti delle vittime erano maschi. L’età media: 22,9 anni. Quasi metà degli incidenti mortali si è verificata in India. Seguono Russia, Stati Uniti e Pakistan. La maggior parte delle persone è morta per annegamento o perché travolta da treni. Fra le altre cause ci sono cadute, incendi, scosse elettriche. «Servirebbero delle aree “no selfie” nelle zone turistiche», spiegano gli autori dello studio, «specialmente in posti come corsi d'acqua, picchi e edifici alti, per diminuire l'incidenza di queste morti». Ma al di là delle cause dirette delle morti per selfie, resta il sospetto che a uccidere sia una sorta di insicurezza riguardo al proprio posto nel mondo: è come se la compulsione a scattare foto di noi stessi fosse generata dalla voglia di provare di essere vivi. Ennio Flaiano, in un suo scritto del 1959, sosteneva che ogni turista è un fotografo intento a raccogliere testimonianze della sua stessa vita, per avere la certezza di aver vissuto. Sessant’anni dopo questa pulsione è portata fino al limite estremo: provare di essere vivi a costo di morire.
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