10 gennaio
Oggi, ma nel 1859, a Torino, a Palazzo Madama, davanti al parlamento del Regno di Sardegna, il sovrano sabaudo Vittorio Emanuele II pronunciava quello che passerà alla storia come il discorso del “grido di dolore”, dopo gli accordi di Plombières, del 21 luglio dell’anno precedente, 1858, intercorsi tra Camillo Benso conte di Cavour e Napoleone III.
Il passo saliente dell’intervento del monarca savoiardo (nella foto, particolare, nel ritratto ad olio su tela, di 55,5 x 45,5 centimetri, in abito civile, attribuito alla scuola di Gerolamo Induno, del 1873) era questo: «Il nostro paese, piccolo per territorio, acquistò credito nei consigli d’Europa perché grande per le idee che rappresenta, per le simpatie che esso ispira. Questa condizione non è scevra di pericoli, giacché, nel mentre rispettiamo i trattati, non siamo insensibili al grido di dolore che da tante parti d’Italia si leva verso di noi!». Alle parole seguirà l’arruolamento dei volontari. Era il preludio alla seconda guerra d’indipendenza italiana, che scoppierà il 23 aprile successivo, da combattere, con l’appoggio francese, contro l’Austria. Il testo di quanto letto davanti ai deputati subalpini, con le correzioni apportate dal numero uno di Francia, verrà conservato nel castello di Sommariva Perno, in provincia di Cuneo. Il riferimento proveniva dalla frase “Grito de dolores” utilizzata nell’avvio della rivoluzione per l’indipendenza messicana del 1810.
Poi, proprio col supporto transalpino, il possente corpo d’armata asburgico verrà sbaragliato a Magenta e a Palestro con il conseguente ingresso dei vincitori franco-piemontesi, l’8 giugno 1859, a Milano, snodo nevralgico del Lombardo-Veneto, dal 7 aprile 1815 appartenente agli austriaci. Quindi la cessazione delle ostilità sarà sancita dal trattato dell’armistizio di Villafranca di Verona, dell’11 luglio 1859, che sarà siglato tra Napoleone III e Francesco Giuseppe I, con poi l’apposizione della firma anche da parte di Vittorio Emanuele II, il giorno dopo, 12 luglio.