11 aprile
Oggi, ma nel 1963, a Città del Vaticano, veniva pubblicata “Pacem in terris”, letteralmente “Pace nelle terre”, l’ultima enciclica di Papa Giovanni XXIII, che arrivava dopo “Paenitentiam agere”, “Fare penitenza”, dell’1 luglio 1962, quando il pontefice Angelo Giuseppe Roncalli, di 82 anni, era già minato dal cancro allo stomaco che lo avrebbe ucciso il 3 giugno successivo.
Sarà anche tra le più conosciute e dibattute encicliche del Santo Padre originario di Sotto il Monte, in provincia di Bergamo, poi Sotto il Monte Giovanni XXIII dall’8 novembre di quel 1963. “Pacem in terris” (nella foto, particolare, Papa Roncalli a licenziare la versione definitiva) aveva il testo redatto dal futuro cardinale Pietro Pavan, che sarà rettore della Pontificia università Lateranense, che aveva già partecipato alla stesura dell’enciclica “Mater et magistra”, ovvero “Madre e maestra”, del 15 maggio 1961.
Pavan era stato coadiuvato per “Pacem in terris” da Loris Francesco Capovilla, anche lui futuro cardinale, segretario particolare del successore di San Pietro morente. Dopo l’approvazione da parte della Santa sede, del 17 marzo precedente, era avvenuta la traduzione, dall’italiano alla lingua di Cicerone, da parte di Guglielmo Zannoni, monsignore riccionese, con fama di latinista ben oltre i confini del Belpaese, al servizio di cinque capi della Chiesa di Roma, da Pio XII a Giovanni Paolo II.
“Pacem in terris” conferirà al massimo esponente della cristianità il soprannome di “Papa della pace”. Poiché l’enciclica verteva molto sul valore della distensione e della implementazione del dialogo quale alternativa necessaria alla conflittualità nello scenario planetario caratterizzato dalla spaccatura, non solo ideologica, tra blocco socialcomunista e comparto capitalista che alimentava la cosiddetta “guerra fredda”.