14 dicembre
Oggi, ma nel 1935, nel Tembien, in Etiopia, nell’area montuosa, aveva inizio quella che passerà alla storia come offensiva di Natale, attuata dalle truppe etiopi di Ras Immirù quale risposta all’attacco operato dal contingente tricolore, capeggiato dal generale Emilio De Bono, comandante in capo delle truppe del Belpaese di stanza in Africa orientale oltre che delle forze militari destinate all’invasione, cioè 9 divisioni ripartite in tre corpi d’armata. De Bono, il 3 ottobre precedente, aveva oltrepassato il fiume Mareb, al confine con l’Eritrea italiana, dando di fatto avvio al conflitto per tentare di conquistare Macallè, strategico capoluogo della regione etiope del Tigrè.
Lo scontro che avveniva a ridosso del giorno di nascita di Gesù terminerà il 27, con la vittoria strategica dei padroni di casa. Colpo che tuttavia non avrà conseguenze particolarmente rilevanti ai fini dell’esito conclusivo della guerra. Gli etiopi erano dotati di armamenti rozzi, equipaggiati con pochi pezzi d’artiglieria, male addestrati e peggio ancora organizzati, ma erano in schiacciante superiorità numerica, pronti a tutto, resistenti al clima e perfetti conoscitori di quei luoghi inospitali.
Nella notte tra il 14 e il 15 dicembre si consumava la battaglia di Dembeguinà, che costituiva lo snodo nevralgico dell’attacco operato dai somali. Pugna che oltremodo costava la vita al capitano Ettore Crippa, in servizio permanente effettivo, e al tenente di complemento Franco Martelli, che era figlio dell’ex ministro dell’Economia Alessandro, in carica tra il 1928 e il 1929, e che aveva voluto andare da volontario perché stanco della vita d’ufficio.
I due facevano parte del X squadrone carri veloci “Duca degli Abruzzi”, il primo, e del IV gruppo avanguardisti “esploratori del Nilo”, il secondo, ed erano ambedue affiliati ad un gruppo di bande indigene che fungevano da apripista. Il 18 giugno 1936 ciascuno dei due gli ufficiali caduti verranno insigniti della medaglia d’oro al valor militare alla memoria. Dopo gli scontri di Dembeguinà seguiva la ritirata strategica su Selaclacà, avamposto che era difeso dalla divisione “Gran Sasso”, che aveva sede a Chieti e che confluirà poi, a partire dal 1939, nella 24ª “Pinerolo”.
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