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17 maggio
Oggi, ma nel 1949, a Molinella, in provincia di Bologna, nella frazione Marmorta, il carabiniere Francesco Galeati, che faceva parte della forza pubblica chiamata a reprimere col piombo la manifestazione di braccianti e di mondine della zona che erano in protesta per tentare di migliorare le loro condizioni di lavoro, uccideva, con una scarica di mitra d'ordinanza, la mondina Maria Margotti. Quest'ultima era originaria di Alfonsine, in quel di Ravenna, classe 1915. Nella sparatoria venivano feriti altri 30 manifestanti. Il giorno precedente, il 16 maggio, 6mila operai della terra provenienti per lo più dalle campagne di Bologna, Ravenna e Ferrara, si erano riversati nella zona per far sentire tutto il loro dissenso verso i padroni ritenuti sfruttatori senza umanità della loro forza lavoro.
Il 13 luglio 1953, in appello, verrà conferma la sentenza di primo grado che condannerà Galeati a 6 mesi e 15 giorni di reclusione. Pena che verrà ritenuta eccessivamente modesta dall'opinione pubblica che aveva seguito con estremo interesse tutta la vicenda giudiziaria. Anche perché non ci sarà nessun superiore del militare dell'Arma che verrà tirato in ballo per quanto accaduto. La vittima, già attiva nella Resistenza nazionale oltre che nelle battaglie sindacali volte ad ottenere il riconoscimento delle 7 ore di lavoro, verrà presa a modello di eroina dei diritti dei lavoratori e soprattutto delle donne dedite alla raccolta stagionale del riso, e impegnate per giornate intere, immerse nel'acqua fino alle ginocchia, ad estirpare le erbe infestanti in quella porzione di Pianura Padana. Lo sciopero di Molinella verrà considerato il primo evento del genere, patrocinato dalle mondine, del Belpaese ed avrà una risonanza molto ampia.
La morte di Maria Margotti (nella foto, l'articolo di prima pagina de "La lotta", organo della federazione provinciale comunista di Bologna, del 20 maggio successivo, inerente le proteste degli operai dopo l'assassinio della Margotti), detta "la Maria de’fiol de Barbesta", verrà ritenuto l'incidente in grado di sbloccare, almeno parzialmente, la situazione di stallo nel braccio di ferro tra proprietari agrari e maestranze. La Margotti, che era vedova da sei anni del bracciante Mario Baldini, e aveva sfacchinato già nella fornace di Filo di Argenta, abitato nel quale era cresciuta, al confine con Alfonsine, lasciava sole le due figlie, Giuseppina ed Alberta Baldini, che porteranno avanti la memoria della madre. In onore della Margotti verrà intitolata, dall'amministrazione municipale di Argenta, la strada provinciale dalla frazione Filo a quella di Longastrino.
Luciano Romagnoli, segretario generale della Federbraccianti della Cgil, sulla "Nuova Scintilla", del 21 maggio 1949, scriverà: "Un’altra eroina che aggiunge il suo nome alla lunga schiera di eroi che hanno dato la loro vita per la libertà e per il lavoro". E Renata Viganò, già partigiana ed autrice del romanzo Einaudi d'ispirazione autobiografica "L’Agnese va a morire", edito nello stesso 1949, la rievocherà nell'articolo, intitolato "Una mondina della nostra bassa", che verrà pubblicato dal quotidiano del Pci "l’Unità", del 18 maggio 1950, con le parole: "È morta come poteva morire qualsiasi altra delle donne del Mulino di Filo, perché sono tutte braccianti e compagne, e allo sciopero tutte aderiscono… è diventata un simbolo, una bandiera, la prima bracciante caduta nello sciopero bracciantile della primavera del ’49, un nome, una figura che esce dai nostri piccoli ricordi di compagni per entrare nel rosso elenco dei caduti per l’umanità, per la gioia, per il lavoro, per il pane dell’umanità".