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19 giugno
Oggi, ma nel 1981, a Roma, la colonna 28 marzo delle Brigate rosse assassinava il vicequestore aggiunto Sebastiano Vinci, di 44 anni, in organico al commissariato di polizia di Primavalle, come dirigente, dopo essere transitato per quello di Monteverde. Quello di Primavalle era un commissariato che doveva coprire, con soli 60 agenti, numericamente gli stessi a disposizione anche 30 anni prima, un territorio pieno di insidie popolato da 800mila residenti.
La vittima, originaria di Catania, classe 1937, aveva già ricevuto minacce quando era a lavorare a Torino, dove era arrivata da Modena, ed era stata trasferita nella Capitale, da meno di due anni, per tentare di salvargli la vita. Dopo l'eliminazione fisica del pregiudicato Maurizio Proietti "Il pescetto", da parte di Antonio Mancini, pescarese di Castiglione a Casauria, del 1948, detto Accattone, e Marcello Colafigli della Banda della Magliana, il 16 marzo 1981, le intimidazioni verso Vinci si erano moltiplicate. Laureato in Giurisprudenza all'università di Urbino, Vinci era entrato in Polizia a 29 anni a Catania lasciando l'impiego in banca. Poi era stato nominato vice-commissario nel 1968 e commissario capo nel 1973. Il 31 marzo 2005 verrà insignito della medaglia d'oro al valor civile alla memoria. Nell'agguato, che si svolgeva a colpi d'arma da fuoco mentre la macchina di servizio sulla quale viaggiava era ferma ad un semaforo (nella foto, particolare della scena del crimine nell'articolo riportato sul quotidiano comunista "l'Unità", del 20 giugno successivo), veniva ferito anche l'agente Pacifico Votto che fungeva da autista. L'operazione verrà rivendicata dall'organizzazione con la stella a cinque punte attraverso una telefonata alla redazione romana del Secolo d'Italia, il quotidiano del Movimento sociale italiano.
Tra i quattro brigatisti che partecipavano all'omicidio figurava anche Roberta Cappelli che riuscirà a riparare in Francia e ad essere protetta, insieme ad altri terroristi, dalla cosiddetta dottrina del socialista Francois Mitterand che verrà enunciata dal presidente della Repubblica francese nel discorso tenuto al Palais des sports di Rennes, in Bretagna, l'1 febbraio 1985, e concernente il diritto d'asilo politico e alla non concessione dell'estradizione a persone imputate o condannate. Per alcuni esponenti di estrema sinistra della lotta armata del Belpaese scatteranno le manette, il 28 aprile 2021, su richiesta italiana del ministro della Giustizia Marta Cartabia, e su decisione diretta del più alto inquilino dell'Eliseo Emmanuel Macron, nell'ambito dell'operazione Ombre rosse. Dei 7 fermati oltralpe, 4 avranno una condanna all'ergastolo: la già menzionata Capelli, Marina Petrella, Sergio Tornaghi - tutti ex Br - e Narciso Manenti, già componente dei Nuclei armati contro il potere territoriale. Per Giovanni Alimonti ed Enzo Calvitti, anche loro rappresentanti delle Brigate rosse, la pena da scontare sarà rispettivamente di 11 anni, 6 mesi e 9 giorni e di 18 anni, 7 mesi e 25 giorni. Giorgio Pietrostefani, fondatore di Lotta continua, originario dell'Aquila, del 1943, che era stato condannato a 22 anni per l’omicidio del commissario di Pubblica sicurezza Luigi Calabresi, avvenuto a Milano il 17 maggio 1972, dovrà ancora trascorrere 14 anni, 2 mesi e 11 giorni in cella.