TODAY
22 novembre
Oggi, ma nel 2008, ad Acquacalda, frazione di Lipari, in provincia di Messina, nelle isole Eolie, per effetto dei marosi alzati dal vento di maestrale con raffiche da 130 chilometri all'ora nella parte settentrionale crollava il pontile dell'ex Italpomice con sede in via Giuseppe Mazzini, già in disuso per scadenza della concessione.
La struttura in ferro finita in acqua era quella che serviva per caricare le navi mercantili di pregiata pietra pomice ricavata nella realtà insulare. Era stata costruito nel 1956, anno in cui era stata fondata la Italpomice. A cedere era proprio lo scheletro in tubi innocenti, particolarmente nella parte centrale dei 200 metri di lunghezza. Il crollo creava problemi di sicurezza sia in mare che sulla costa per i detriti in ferro e in gomma finiti tra le onde. Il 6 marzo 2010 verrà approvato dall'amministrazione municipale, guidata dal sindaco Mariano Bruno, il piano di smantellamento da 145mila euro. Ma l'operazione di rimozione non sarà veloce né esente da polemiche.
Un vero e proprio sfruttamento di tipo industriale della pomice cavata a Lipari, soprattutto in località Acquacalda, era stato avviato dal 1825, quando il marchese Vito Nunziante, già titolare di una concessione per le miniere di zolfo, allume e acido borico a Vulcano, aveva ricevuto pure l′autorizzazione allo sfruttamento esclusivo delle cave di pomice di Lipari. Il prodotto, che veniva utilizzato soprattutto in granulato come materiale leggero da costruzione e in pezzi quale abrasivo naturale per impiego tessile, fondamentalmente per conferire l'effetto vissuto al denim adoperato per confezionare i jeans, era stato esportato fino in Inghilterra, Stati uniti d'America e Russia. Dal 1968 la società Pumex, costituitasi nel 1958 da una fusione, aveva acquisito tutte le altre attività d′estrazione e di commercio della pomice attive nell'isola. Tale operazione di concentrazione aveva permesso, nei primi tre anni di tale regime, di implementare l′esportazione dalle 487mila alle 596mila tonnellate. Insieme alla Pumex, poi fallita come tutte le altre realtà, erano presenti la Italpomice di Acquacalda, appunto, e la Cooperativa San Cristoforo di Canneto, che si occupava unicamente del settore produttivo.
La pomice in questione era una roccia ignea effusiva a pasta vitrea, molto leggera, di colore bianco e aspetto scoriaceo, formatasi durante eruzioni vulcaniche di tipo esplosivo, nelle quali i gas dissolti nella parte liquida del magma si espandevano dando vita ad una schiuma che, raffreddandosi e solidificandosi, assumeva il caratteristico aspetto vetroso attorno alle bolle di gas. La pomice di Lipari si differenziava per l'elevata quantità di silice presente: pari al 70 per cento contro il 50 del materiale analogo di altra provenienza. Inoltre si era formata in un'unica eruzione, garantendo così la uniformità della resa. Tale caratteristica conferiva anche maggior durezza e resistenza agli agenti chimici rendendo il prodotto finale definibile dagli addetti ai lavori come puro, con porosità fino all'85 per cento, e quindi ritenuto pregiato sul mercato internazionale.