26 novembre
Oggi, ma nel 1911, a Barga, in provincia di Lucca, nel Teatro dei Differenti, il poeta dell’interiorità Giovanni Pascoli teneva lo storico discorso intitolato “La Grande proletaria si è mossa”, a supporto dei caduti e dei feriti italici causati dalla guerra contro la Turchia, prendendo, per la prima volta e pubblicamente, netta posizione in favore dell’intervento armato tricolore volto alla colonizzazione della Libia, in corso. In estrema sintesi, secondo l’autore di componimenti iconici e destinati ad essere mandati a memoria tra i banchi di scuola come “La cavallina storna” e “X agosto” - dedicati all’omicidio del padre Ruggero, avvenuto il 10 agosto 1867, mentre rincasava a San Mauro di Romagna, dopo essersi recato per lavoro al mercato di Cesena - il Belpaese aveva scelto di prendere parte al grande gioco della conquista extra europea attuata dalle grandi potenze del vecchio continente.
L’Italia veniva chiamata non a caso «Grande proletaria». A sottolineare il carattere rurale prevalente su e giù per lo Stivale. E i figli, ovvero gli italiani, erano afflitti da miseria ed arretratezza e trattati, fuori dai confini, «un pochino come i negri». Erano costretti a rinnegare le proprie origini, benché fossero state gloriose, e considerati scansafatiche, rozzi, illetterati e il più delle volte malavitosi. La Patria aveva finalmente trovato per loro «una vasta regione bagnata dal Mare nostrum». Una terra che già era stata valorosamente conquista dell'antica Roma, che era stata resa fertile dal faticoso lavorio di dissodamento operato sagacemente dai «nostri progenitori».
Ma poi, sciaguratamente, era divenuta inospitale e desertica per l’inettitudine di residenti negligenti. Ebbene, quel suolo l’Italia aveva finalmente il faticoso, ma lungimirante, compito di civilizzare. Orazione (nella foto, particolare, l’edizione Zanichelli, di Bologna, coeva, del volume con il testo della dissertazione pascoliana che verrà pubblicata, con grande risalto, già il giorno dopo l’evento, ovvero il 27 novembre di quel 1911, sul quotidiano “La Tribuna”) in gran spolvero, secondo l'acceso clima politico del momento, che consentiva a Pascoli, unendo il piglio socialista al vigore nazionalista, d’infiammare gli animi. Non solo della classe dirigente al vertice, ma anche del volgo.