Odori, sapori e colori: il diario della quarantena
Chissà cosa resterà, di queste settimane di isolamento e paura, quando riusciremo a rimettere il naso fuori dalle nostre case. Chissà quali immagini, quali suoni, quali profumi. Gli odori che “rubo” mentre salgo le scale di casa all’ora di pranzo: un ragù al primo piano, profumo di pane al secondo, un’irresistibile idea di torta al quarto. Era un po’ che non si sentivano tanti profumi di cucina sui pianerottoli delle case. Poi l’odore del disinfettante, ovunque. Il gel per le mani che si appiccica alle cose, lo spray che resta nell’aria dopo averlo applicato all’ingresso e all’uscita del supermercato. E l’odore di gomma dei guanti, che rimane persistente e impalpabile sulla pelle anche quando li togli. Il suono del violino di qualcuno che si esercita nell’appartamento di sotto, le risate di un bambino nell’appartamento di fianco: il rumore delle persone nelle loro case, che non si ha mai la pazienza di ascoltare. La mancanza impressionante di rumore delle città vuote, l’assenza del rombo dei motori, dei clacson, del chiacchiericcio delle piazze e dei mercati rionali. Il cinguettìo degli uccelli, mai così forte, mai così allegro, mentre in tutta la città gli uomini hanno fatto spazio alla natura. L’immagine dei guanti blu e bianchi abbandonati sui marciapiedi. Tanti. Li ritroveremo quando tutto sarà passato, spiaggiati sulle coste, invadenti più delle buste di plastica di cui stavamo appena imparando a fare a meno. I disegni con l’arcobaleno appesi sulle porte dai bimbi imprigionati per troppo tempo, troppo perché sia giusto così. I medici e gli infermieri impacchettati come astronauti in tute bianche sigillate, e come astronauti lanciati senza armi in un pianeta ancora sconosciuto ma pieno di insidie. L’immagine del Papa solo in quella piazza impossibilmente deserta e impossibilmente disegnata dalla pioggia e dall’abbraccio delle colonne del Bernini. E quando mi guardo allo specchio, i miei occhi al di sopra della mascherina bianca, il viso coperto, i capelli di un colore più scuro che non riconosco. Mi faccio una foto. Un giorno, la riguarderò.