Chiusa la rassegna

Agroalimenta, alta affluenza il settore regge alla crisi

LANCIANO. Lo zafferano della Piana di Navelli, la patata “turchesa” del Parco del Gran Sasso, il bocconotto di Castel Frentano, e poi ancora il tartufo di Carsoli, ma anche i salumi di cinghiale di...

LANCIANO. Lo zafferano della Piana di Navelli, la patata “turchesa” del Parco del Gran Sasso, il bocconotto di Castel Frentano, e poi ancora il tartufo di Carsoli, ma anche i salumi di cinghiale di Norcia, i dolciumi napoletani e i tarallucci pugliesi. AgroAlimenta, la fiera dei prodotti tipici locali, si è chiusa ieri in un tripudio di sapori e di profumi.

Alta l’affluenza, concentratasi soprattutto nelle ore pomeridiane e serali di ieri. L’agroalimentare conferma ancora una volta di essere un settore su cui scommettere. Nel rapporto Cresa sulle imprese manifatturiere, quello agricolo e agroalimentare risulta l’unico tra tutti i settori economici a mantenere un segno positivo. Lo hanno capito gli espositori, cresciuti del 20% rispetto allo scorso anno, e anche i produttori che si stanno velocemente adattando alle nuove esigenze di mercato. Ma la crisi morde ancora.

«Non si spende», commenta un espositore di un’azienda di salumi e formaggi di Pietracamela, all’ombra del Gran Sasso, «piuttosto stiamo ricevendo un po’ di attenzione dai paesi esteri: Stati Uniti, Canada, Germania, considerano i nostri dei prodotti di nicchia e invece sono semplicemente naturali, senza aggiunta di conservanti». «Alla gente piacciono le cose naturali», racconta Graziella Di Menno Di Bucchianico del mercato contadino di Lanciano, «oltre a chiedere verdure di stagione i clienti cercano conserve fatte in casa, mosto cotto, marmellate, tutto preparato come si faceva una volta».

Il biologico sbarca anche nel vino. «C’è molta richiesta», spiega Rosanna della Cantina Madonna del Carmine Eredi Legonziano, «e noi ci stiamo attrezzando. Il pubblico sta cambiando: i consumatori sono più giovani, più esigenti e più informati su ciò che si vuole bere. C’è molta più attenzione alla qualità piuttosto che alla quantità».

Ci sono anche tanti giovani che investono nell’agricoltura dopo che le fabbriche si sono svuotate di manodopera e cominciano a produrre solo cassa integrazione. «Coltivo la terra che era di mio nonno a Montebello sul Sangro», spiega Paolo dell’azienda biologica Piccola Terra, 30 anni e agricoltore da quando ne aveva 18, «oggi produco farro perlato, ceci e cicerchia biologici. Purtroppo il ritorno economico stenta a decollare: chi produce questo genere di prodotti deve pagare una serie infinita di controlli, cosa che non accade a chi invece utilizza diserbanti». Paolo vende i suoi prodotti ai Gas, Gruppi di acquisto solidale (di cui uno, AnxaGas, è presente anche a Lanciano) e sfrutta la rete internet per cercare nuove fette di mercato: è l’agricoltura dell’era moderna, che cambia pelle, ma non l’essenza.

Daria De Laurentiis

©RIPRODUZIONE RISERVATA