Al mare coi muli, quando era proibito scoprirsi
La settima foto d’epoca in regalo: la spiaggia e l’Hotel Nettuno in stile liberty
PROSEGUE l’iniziativa del Centro “Ieri & Oggi - Le città abruzzesi nell’album del tempo”. Oggi in regalo con il giornale c’è la settima foto (risale agli anni Trenta del Novecento), l’Hotel Nettuno e un tratto del lungomare. Si tratta della seconda foto storica di Vasto dopo quella di corso De Parma.
Giovedì 4 poi uscirà la foto del lungomare, com’è ai giorni nostri. Anche in questa occasione lo storico e giornalista Giuseppe Catania fa un salto all’indietro nel tempo e ripercorre in una ipotetica passeggiata una giornata al mare di un secolo fa. Ai primi del secolo scorso, la Marina di Vasto accoglieva già un turismo, che oggi definiamo “di massa”, di più modeste proporzioni. Perché, nonostante la carenza di mezzi di trasporto, ci si muoveva e come.
Meta preferita la spiaggia, con il suo arenile di sabbia dorata e finissima dove c’era qualche locanda per il ristoro dei passeggeri che facevano capo alla stazione ferroviaria, i cui lavori erano iniziati a marzo del 1900. Si andava alla marina caricando brande, materassi, batterie da cucina e provviste su di un carro trainato da un mulo, compresa una buona scorta di legna indispensabile per la cottura dei cibi.
Si partiva all’alba per transitare inosservati lungo la strada che dalla città alta scende verso la marina, anche perché a quell’ora la gente dormiva saporitamente. L’alloggio per la giornata al mare era una stanza di “masseria” che i contadini avevano sotto la ferrovia adriatica in mezzo ai terreni coltivati. Si improvvisavano albergatori, industriandosi ad affittare durante la stagione estiva obbligandosi a fornire ai villeggianti pomodori e peperoni freschi tratti dagli orti.
Al mare si andava con il costume da bagno addosso, variopinto, adornato di pizzi e ricami per le donne che ricoprivano interamente il corpo. Infatti, come ricordano le cronache dell’epoca, a seguito di una drastica disposizione contenuta nell’articolo 87 della Legge di pubblica sicurezza e 98 del Regolamento, già dal 1888 era assolutamente proibito andare in spiaggia senza indossare la “camicia” e le prescritte “mutande da bagno”.
Il costume delle signore consisteva in una “grande blusa di flanella a righe stretta alla vita con cinture e calzoni a sbruffi di un colore”. Per le signorine, invece, “stoffa bianca guarnita con galloni ed empiècement d’altra tinta”. Agli inizi degli anni Venti, alla Marina di Vasto oltre all’Albergo Vittoria di proprietà di Augusto Lubrani, che era situato al cospetto della vecchia stazione ferroviaria ed al ristorante Corvo nero in riva al mare, famoso per il brodetto di pesce alla Vastese, c’era l’Albergo Nettuno.
In stile liberty, come la maggior parte dei villini sorti nella località balneare, era dotato di uno spazioso loggiato dove si svolgevano in estate banchetti e feste danzanti. L’amministrazione comunale, per la stagione turistica 1933, allo scopo di favorire il flusso dei villeggianti, non applicò la tassa di soggiorno. L’albergo ristorante Nettuno, nei pressi del lungomare Dalmazia, era di proprietà di Michele Molino e costituiva la meta preferita dei turisti che giungevano a Vasto in treno o in corriera.
Più in là, verso la zona frastagliata dalla scogliera, il 9 luglio del 1930 era stata inaugurata la Colonia marina con la benedizione impartita dal parroco della chiesa di Maria Stella maris, posta sul lungomare “limitato ad oriente da una balconata con vasi e fiori e alberato con piantagioni di pini e oleandri”. La vacanza a Vasto marina era tranquilla, senza il frastuono di oggi.
I più facoltosi si recavano allo stabilimento balneare La sirena, costruito su palafitte in legno in mezzo al mare, con le cabine direttamente a contatto con l’acqua mediante una botola che si apriva dal pavimento munita di scala. Ancorati qui “si prendeva” il bagno. Prima del crepuscolo, lungo la strada ferrata transitava la famosa “Valigia delle Indie”, il treno transcontinentale che collegava Calais- Bombay, al passaggio del quale si regolava l’orologio per predisporsi al rientro.
La giornata trascorreva nella beata contemplazione della natura, nella quiete assoluta turbata solo dai gridolini con cui le giovinette accompagnavano il gioco con i cerchietti, mentre sulla barca di salvataggio l’anziano e vigile bagnino esortava i più ardimentosi a non spingersi al largo oltre la prima “sottile”. A sera s’udiva l’eco delle corde delle chitarre e dei mandolini che i barbieri di Vasto, trasformati in provetti musici, pizzicavano al tenue bagliore del plenilunio risplendente, come una argentea colata, sulle onde del placido mare Adriatico.
Giovedì 4 poi uscirà la foto del lungomare, com’è ai giorni nostri. Anche in questa occasione lo storico e giornalista Giuseppe Catania fa un salto all’indietro nel tempo e ripercorre in una ipotetica passeggiata una giornata al mare di un secolo fa. Ai primi del secolo scorso, la Marina di Vasto accoglieva già un turismo, che oggi definiamo “di massa”, di più modeste proporzioni. Perché, nonostante la carenza di mezzi di trasporto, ci si muoveva e come.
Meta preferita la spiaggia, con il suo arenile di sabbia dorata e finissima dove c’era qualche locanda per il ristoro dei passeggeri che facevano capo alla stazione ferroviaria, i cui lavori erano iniziati a marzo del 1900. Si andava alla marina caricando brande, materassi, batterie da cucina e provviste su di un carro trainato da un mulo, compresa una buona scorta di legna indispensabile per la cottura dei cibi.
Si partiva all’alba per transitare inosservati lungo la strada che dalla città alta scende verso la marina, anche perché a quell’ora la gente dormiva saporitamente. L’alloggio per la giornata al mare era una stanza di “masseria” che i contadini avevano sotto la ferrovia adriatica in mezzo ai terreni coltivati. Si improvvisavano albergatori, industriandosi ad affittare durante la stagione estiva obbligandosi a fornire ai villeggianti pomodori e peperoni freschi tratti dagli orti.
Al mare si andava con il costume da bagno addosso, variopinto, adornato di pizzi e ricami per le donne che ricoprivano interamente il corpo. Infatti, come ricordano le cronache dell’epoca, a seguito di una drastica disposizione contenuta nell’articolo 87 della Legge di pubblica sicurezza e 98 del Regolamento, già dal 1888 era assolutamente proibito andare in spiaggia senza indossare la “camicia” e le prescritte “mutande da bagno”.
Il costume delle signore consisteva in una “grande blusa di flanella a righe stretta alla vita con cinture e calzoni a sbruffi di un colore”. Per le signorine, invece, “stoffa bianca guarnita con galloni ed empiècement d’altra tinta”. Agli inizi degli anni Venti, alla Marina di Vasto oltre all’Albergo Vittoria di proprietà di Augusto Lubrani, che era situato al cospetto della vecchia stazione ferroviaria ed al ristorante Corvo nero in riva al mare, famoso per il brodetto di pesce alla Vastese, c’era l’Albergo Nettuno.
In stile liberty, come la maggior parte dei villini sorti nella località balneare, era dotato di uno spazioso loggiato dove si svolgevano in estate banchetti e feste danzanti. L’amministrazione comunale, per la stagione turistica 1933, allo scopo di favorire il flusso dei villeggianti, non applicò la tassa di soggiorno. L’albergo ristorante Nettuno, nei pressi del lungomare Dalmazia, era di proprietà di Michele Molino e costituiva la meta preferita dei turisti che giungevano a Vasto in treno o in corriera.
Più in là, verso la zona frastagliata dalla scogliera, il 9 luglio del 1930 era stata inaugurata la Colonia marina con la benedizione impartita dal parroco della chiesa di Maria Stella maris, posta sul lungomare “limitato ad oriente da una balconata con vasi e fiori e alberato con piantagioni di pini e oleandri”. La vacanza a Vasto marina era tranquilla, senza il frastuono di oggi.
I più facoltosi si recavano allo stabilimento balneare La sirena, costruito su palafitte in legno in mezzo al mare, con le cabine direttamente a contatto con l’acqua mediante una botola che si apriva dal pavimento munita di scala. Ancorati qui “si prendeva” il bagno. Prima del crepuscolo, lungo la strada ferrata transitava la famosa “Valigia delle Indie”, il treno transcontinentale che collegava Calais- Bombay, al passaggio del quale si regolava l’orologio per predisporsi al rientro.
La giornata trascorreva nella beata contemplazione della natura, nella quiete assoluta turbata solo dai gridolini con cui le giovinette accompagnavano il gioco con i cerchietti, mentre sulla barca di salvataggio l’anziano e vigile bagnino esortava i più ardimentosi a non spingersi al largo oltre la prima “sottile”. A sera s’udiva l’eco delle corde delle chitarre e dei mandolini che i barbieri di Vasto, trasformati in provetti musici, pizzicavano al tenue bagliore del plenilunio risplendente, come una argentea colata, sulle onde del placido mare Adriatico.