il nuovo processo
Chieti, Angelini torna in aula: lo accusa Ignazio Marino
Il pm: truffa da 24 milioni sui malati. I destini dell’ex re della sanità e dell’ex sindaco di Roma si incrociano martedì
CHIETI. Angelini uscì dall'aula sbottando: «C'era un piano per far chiudere Villa Pini». Non ci stava il re delle cliniche a subìre l'ennesimo rinvio a giudizio, questa volta per le cosiddette "villette lager" dove curava i malati di mente più gravi. Così, alla fine dell'udienza preliminare, aveva lanciato accuse pesantissime. Ad inguaiarlo era stato Ignazio Marino, l'ex sindaco di Roma che il 25 luglio del 2009, come presidente della commissione sanità del Senato, piombò nelle strutture protette di Torrevecchia Teatina. E poi, nel suo dossier, scrisse che erano l'inferno.
Quel blitz innescò l'inchiesta dei Nas, la chiusura delle villette e il rinvio a giudizio non solo di Angelini. Venerdì scorso si è consumata la prima coincidenza: l'accusatore Marino spariva dalla scena politica romana; alla stessa ora, ma a Chieti, l'ex imprenditore della sanità veniva condannato a 10 anni per il crac del gruppo Villa Pini.
Fa strani scherzi il destino che sembra perseguitare Angelini, concentrando in pochissimi giorni date cruciali, e mettendo di fronte accusatore e accusato, ex potenti caduti in disgrazia. Martedì prossimo, infatti, i due destini s'incontrano di nuovo. Vincenzo Angelini dovrà tornare nell'aula del tribunale. Ignazio Marino dovrà testimoniare contro di lui. Tutto si consumerà in un giorno: sfileranno i testi, il pm farà le richieste, gli avvocati smonteranno le accuse. In serata è prevista la sentenza.
«Sì era l'inferno della malattia mentale», disse, c'erano giovani schizofrenici gravissimi, anziani con manie rare, come una donna che faceva a strisce le lenzuola per mangiarle perché pensava che fossero spaghetti, o quel paziente che si dava morsi fino a sanguinare. Era la trincea della psichiatria.
Ma per la procura non è così: Angelini, la moglie Anna Maria Sollecito, la figlia Chiara, e gli altri imputi Giovanni Pardi, coordinatore della struttura, Claudio Cignarale e Vincenzo Recchione, "controllori" inviati dalla Asl, sono imputati per aver, i primi tre, tenuto aperte strutture di riabilitazione psichiatrica non autorizzate, per abbandono di pazienti e truffa aggravata nei confronti delle Regioni Abruzzo e Marche (i primi tre più Pardi) per 24 milioni di euro spacciando – dice ancora la procura – pazienti non gravi come soggetti da curare in strutture protette, quindi gonfiando da 75 a 124 euro le spese di ricovero, inoltre, in concorso con Cignarale e Recchione, per aver omesso di segnalare le carenze presenti nelle strutture.
Carenze choc come feci di topi, cani e gatti randagi, fili elettrici scoperti, stanze piccole e buie, uscite di sicurezza chiuse a chiave. Ma le accuse sono tutte da dimostrare.