Chieti, Megalò 2: doppio esposto. Sotto esame gli atti del Via
L’indagine dei carabinieri forestali partita dopo le denunce di Regione e Wwf. Le prime acquisizioni puntano sulla Valutazione di impatto ambientale
CHIETI. Un doppio esposto sul Megalò 2. È quello che hanno in mano gli investigatori che indagano sul nuovo centro commerciale: il primo è della Regione che alla procura di Chieti ha denunciato «alcune anomalie riscontrate nella documentazione presentata dall’azienda costruttrice»; il secondo è del Wwf Italia e gira intorno al rischio esondazione nella zona a ridosso del fiume Pescara. «E stiamo preparando anche un’integrazione», dice il delegato regionale Wwf Luciano Di Tizio. Sotto esame, per ora, ci sono gli atti della Valutazione di impatto ambientale.
Dopo la prima acquisizione di atti negli uffici dell’Urbanistica a Chieti, l’inchiesta dei carabinieri forestali va avanti e scava negli atti amministrativi. La visita di martedì scorso durata tre ore nella sede comunale di viale Amendola è stata la prima e, a breve, un’altra acquisizione di documenti potrebbe essere eseguita al Comune di Cepagatti. L’insediamento commerciale proposto dalla ditta Sile di Barzana (Bergamo) prevede 7 edifici di «media e grande distribuzione» con un mobilificio e negozi per la casa fai-da-te in un territorio di 30.500 metri quadrati tra Chieti e Cepagatti. Su Cepagatti ricadono i 7 edifici mentre su Chieti un maxi parcheggio.
C’è un fascicolo amministrativo che già da ora è al centro degli accertamenti: gli atti del Comitato Via che, 9 mesi fa, ha giudicato «improcedibile» la richiesta di modifica del progetto e ha prescritto come obbligatoria – prima dell’avvio dei lavori – la verifica dell’efficacia delle opere di messa in sicurezza a fini idraulici e cioè la diga d’acciaio anti alluvione. Lo ha ricordato, e non a caso, l’assessore regionale al Bilancio Silvio Paolucci lunedì scorso, nel giorno dell’avvio dei lavori poi rimandati. E il tema ricorre anche nell’esposto del Wwf firmato da Di Tizio e curato dall’avvocato Francesco Paolo Febbo: «È necessario fare chiarezza su quello che è successo e se tutto quello che è accaduto è consono alle norme di legge», dice Di Tizio, «la nostra opposizione all’intero complesso Megalò nasce dal fatto che quelle costruzioni sono state fatte con un procedimento che per noi è almeno discutibile in aree di esondazione del fiume. In un recente studio del Cnr sul Nord Italia», continua Di Tizio, «si dice che il problema del dissesto idrogeologico e delle alluvioni è causato dalla cementificazione degli alvei fluviali: è una verità che vale per tutta l’Italia. In sostanza, ci sono sempre più occupazioni di aree in cui non si dovrebbe costruire. E quando si costruisce in questo modo si rischiano sempre le tragedie oltre ai danni materiali: noi vogliamo che questo non si faccia più, anche alla luce degli cambi climatici».
Secondo Di Tizio, non ci sarebbero i permessi per avviare i lavori: «Il Comitato Via aveva dato un’autorizzazione con prescrizione di opere di messa in sicurezza. Poi, nel 2017, non è stata ottenuta la proroga del giudizio precedente ed è stata data solo l’autorizzazione a completare l’argine del fiume. Per questo, non c’è alcun permesso a costruire».
Finora, non ci sono indagati e l’inchiesta non ha ancora ipotesi di reato.
Dopo la prima acquisizione di atti negli uffici dell’Urbanistica a Chieti, l’inchiesta dei carabinieri forestali va avanti e scava negli atti amministrativi. La visita di martedì scorso durata tre ore nella sede comunale di viale Amendola è stata la prima e, a breve, un’altra acquisizione di documenti potrebbe essere eseguita al Comune di Cepagatti. L’insediamento commerciale proposto dalla ditta Sile di Barzana (Bergamo) prevede 7 edifici di «media e grande distribuzione» con un mobilificio e negozi per la casa fai-da-te in un territorio di 30.500 metri quadrati tra Chieti e Cepagatti. Su Cepagatti ricadono i 7 edifici mentre su Chieti un maxi parcheggio.
C’è un fascicolo amministrativo che già da ora è al centro degli accertamenti: gli atti del Comitato Via che, 9 mesi fa, ha giudicato «improcedibile» la richiesta di modifica del progetto e ha prescritto come obbligatoria – prima dell’avvio dei lavori – la verifica dell’efficacia delle opere di messa in sicurezza a fini idraulici e cioè la diga d’acciaio anti alluvione. Lo ha ricordato, e non a caso, l’assessore regionale al Bilancio Silvio Paolucci lunedì scorso, nel giorno dell’avvio dei lavori poi rimandati. E il tema ricorre anche nell’esposto del Wwf firmato da Di Tizio e curato dall’avvocato Francesco Paolo Febbo: «È necessario fare chiarezza su quello che è successo e se tutto quello che è accaduto è consono alle norme di legge», dice Di Tizio, «la nostra opposizione all’intero complesso Megalò nasce dal fatto che quelle costruzioni sono state fatte con un procedimento che per noi è almeno discutibile in aree di esondazione del fiume. In un recente studio del Cnr sul Nord Italia», continua Di Tizio, «si dice che il problema del dissesto idrogeologico e delle alluvioni è causato dalla cementificazione degli alvei fluviali: è una verità che vale per tutta l’Italia. In sostanza, ci sono sempre più occupazioni di aree in cui non si dovrebbe costruire. E quando si costruisce in questo modo si rischiano sempre le tragedie oltre ai danni materiali: noi vogliamo che questo non si faccia più, anche alla luce degli cambi climatici».
Secondo Di Tizio, non ci sarebbero i permessi per avviare i lavori: «Il Comitato Via aveva dato un’autorizzazione con prescrizione di opere di messa in sicurezza. Poi, nel 2017, non è stata ottenuta la proroga del giudizio precedente ed è stata data solo l’autorizzazione a completare l’argine del fiume. Per questo, non c’è alcun permesso a costruire».
Finora, non ci sono indagati e l’inchiesta non ha ancora ipotesi di reato.