E la Provincia sorse sul vecchio monastero
Il maestoso palazzo dette slancio all’antica strada concepita in epoca preromana
CHIETI. La spina dorsale dei colli teatini, la chiave di lettura dell’espansione dell’antico abitato, insieme lente d’ingrandimento dei fenomeni storico-sociali riguardanti il capoluogo italico fin dalle origini ed osservatorio privilegiato dei costumi della città moderna. Nella storia di corso Marrucino la storia della città. Prosegue, con la foto d’epoca su corso Marrucino, nel particolare del palazzo della Provincia, la rassegna dedicata dal Centro ad alcuni degli angoli più suggestivi delle città abruzzesi. Il corso è un coacervo di spinte centrifughe che riassumono, nel contesto tipico dei centri collinari, tendenze, tradizioni e trasformazioni di vario ordine. E’ l’idea di un’arteria che attraversa il nucleo centrale dell’antico insediamento urbano, probabilmente fin dalla preromanizzazione.
Un’idea illustrata da Adele Campanelli, dirigente della soprintendenza archeologica per l’Abruzzo, nella monografia “Nascita e trasformazione della città romana di Chieti”, ospitata nel pregevole volume di Ciro Robotti “Chieti città d’arte e di cultura” (edizioni Del Grifo, Lecce, 1977). Nei secoli I e II d.C. il riassetto urbano della città degli Asinii, caratterizzato da una rilevante espansione edilizia sia pubblica che privata, esalta la centralità dell’allora strada consolare Claudia-Valeria che lambisce la Civitella dal lato dell’ingresso sud-ovest dell’anfiteatro per poi tuffarsi, lungo l’attuale via Nicoletto Vernia, verso il foro imperiale che con gli edifici annonari abbraccia la zona di piazza Valignani e la retrostante area di piazza Umberto Iº.
Resti dell’arteria romana, che ha dato origini al “contemporaneo” corso Marrucino, sono stati da ultimo rinvenuti durante lavori stradali a margine del muro di cinta del seminario pontificio. Dunque, il tracciato del corso non cambierà fino ai nostri giorni. L’asse della via principale della città collega il colle dell’arce (la Civitella) e colle San Gallo (San Giustino), direttrice questa replicata dalla parallela “strada di servizio” di via Marco Vezio Marcello che, dopo lo sfondamento del diaframma a margine del complesso votivo dei Templi romani, angolo palazzo Verlengia, costituisce la prosecuzione ideale di via Ravizza. Rilevanti, anche in epoche recenti, gli interventi viari sul crinale del centro storico.
Tra questi il progetto di stampo neoclassico che nel 1868, con il proseguimento di corso Galiani, riunisce di fatto i rioni Civitella-Cauta, San Paolo-San Gaetano, Cavallerizza e Santa Maria. Ai primi del secolo scorso, con l’abbattimento del complesso monastico dell’ordine di San Domenico di Guzman e la contestuale edificazione del palazzo della Provincia, dai preziosi interni in stucchi, vetrate istoriate e ferro battuto, corso Marrucino è liberato dalla strozzatura che ne aveva condizionato il respiro architettonico verso quell’espansione delle arti e dei mestieri che poi, anche a seguito del tridente viario creato in piazza Valignani, si estenderà alla vitalissima via Arniense.
In tale ottica, significativi dal punto di vista architettonico, oltreché storico, appaiono gli interventi registrati durante il ventennio fascista. Vengono edificati gli edifici del Banco di Napoli, delle Poste e delle Corporazioni (oggi sede di rappresentanza della Camera di commercio), quest’ultimo autentica espressione del neoromanico. E corso Marrucino si trasforma in una versione ridotta della capitolina via dei Fori Imperiali, sia per l’analogia archeologica rappresentata dalle presenze del sistema idrico romano e delle domus insistenti sui terrazzamenti del lato orientale, sia per il “palcoscenico” adatto alle manifestazioni di regime.
In una foto d’epoca tratta da “Chieti com’era“ (edizioni Carsa 1999, testi di Teresio Cocco, Camillo Gasbarri e Giovanni Tavano), proprio all’altezza del palazzo della Provincia campeggia la scritta in caratteri dell’epoca: “Re, Duce, siamo pronti, Gibuti-Tunisia”, a sottolineare l’iniziale consenso alle imprese coloniali del fascismo. Un piccolo passo indietro fino al 1905, anno della visita dei reali d’Italia alla città di Chieti.
Una cartolina di grande impatto espressivo (da “Cartoline di Chieti” di Giorgio Cornacchia, edizioni Tinari, Bucchianico 1996) immortala il passaggio su corso Marrucino della carrozza delle “loro maestà” Vittorio Emanuele III e la regina Elena tra due ali di folla festante. E’ l’11 giugno del 1905 e la presenza della famiglia reale funge da spettacolare corollario all’inaugurazione della ferrovia elettrica Chieti-Stazione e della imponente rassegna d’arte antica abruzzese, composta da oltre 2300 pezzi, organizzata da Cesare De Laurentiis nel palazzo municipale.
Chieti è in espansione. Ed il suo corso ne è cuore e polmone. Crescono i circoli culturali e le caffetterie (il vecchio Barattucci, ormai scomparso, il Gran Caffè Roma, dagli anni trenta ribattezzato Gran Caffè Vittoria, ed il Caffè Impero, inaugurato il 6 settembre 1936), nella duplice funzione di circoli ricreativi e caffè letterari, palpitano di idee e prospettive.
Corso Marrucino è anche tradizione musicale per l’omonimo, delizioso teatro. E’ tradizione religiosa per le sue chiese, San Domenico e San Francesco, e per il suo ruolo di scena centrale del Venerdì santo, la processione più antica d’Italia: i suoi palazzi gentilizi costituiscono così una itinerante cassa di risonanza per le irripetibili note del Miserere di Saverio Selecchy. Il resto è storia dei nostri giorni. Dalle devastazioni del suo sottosuolo infarcito di testimonianze archeologiche, segni dell’antico splendore purtroppo violati dai lavori stradali degli anni sessanta, al più lieto evento della visita del presidente della repubblica Carlo Azelio Ciampi (16 settembre 2005).
Un’idea illustrata da Adele Campanelli, dirigente della soprintendenza archeologica per l’Abruzzo, nella monografia “Nascita e trasformazione della città romana di Chieti”, ospitata nel pregevole volume di Ciro Robotti “Chieti città d’arte e di cultura” (edizioni Del Grifo, Lecce, 1977). Nei secoli I e II d.C. il riassetto urbano della città degli Asinii, caratterizzato da una rilevante espansione edilizia sia pubblica che privata, esalta la centralità dell’allora strada consolare Claudia-Valeria che lambisce la Civitella dal lato dell’ingresso sud-ovest dell’anfiteatro per poi tuffarsi, lungo l’attuale via Nicoletto Vernia, verso il foro imperiale che con gli edifici annonari abbraccia la zona di piazza Valignani e la retrostante area di piazza Umberto Iº.
Resti dell’arteria romana, che ha dato origini al “contemporaneo” corso Marrucino, sono stati da ultimo rinvenuti durante lavori stradali a margine del muro di cinta del seminario pontificio. Dunque, il tracciato del corso non cambierà fino ai nostri giorni. L’asse della via principale della città collega il colle dell’arce (la Civitella) e colle San Gallo (San Giustino), direttrice questa replicata dalla parallela “strada di servizio” di via Marco Vezio Marcello che, dopo lo sfondamento del diaframma a margine del complesso votivo dei Templi romani, angolo palazzo Verlengia, costituisce la prosecuzione ideale di via Ravizza. Rilevanti, anche in epoche recenti, gli interventi viari sul crinale del centro storico.
Tra questi il progetto di stampo neoclassico che nel 1868, con il proseguimento di corso Galiani, riunisce di fatto i rioni Civitella-Cauta, San Paolo-San Gaetano, Cavallerizza e Santa Maria. Ai primi del secolo scorso, con l’abbattimento del complesso monastico dell’ordine di San Domenico di Guzman e la contestuale edificazione del palazzo della Provincia, dai preziosi interni in stucchi, vetrate istoriate e ferro battuto, corso Marrucino è liberato dalla strozzatura che ne aveva condizionato il respiro architettonico verso quell’espansione delle arti e dei mestieri che poi, anche a seguito del tridente viario creato in piazza Valignani, si estenderà alla vitalissima via Arniense.
In tale ottica, significativi dal punto di vista architettonico, oltreché storico, appaiono gli interventi registrati durante il ventennio fascista. Vengono edificati gli edifici del Banco di Napoli, delle Poste e delle Corporazioni (oggi sede di rappresentanza della Camera di commercio), quest’ultimo autentica espressione del neoromanico. E corso Marrucino si trasforma in una versione ridotta della capitolina via dei Fori Imperiali, sia per l’analogia archeologica rappresentata dalle presenze del sistema idrico romano e delle domus insistenti sui terrazzamenti del lato orientale, sia per il “palcoscenico” adatto alle manifestazioni di regime.
In una foto d’epoca tratta da “Chieti com’era“ (edizioni Carsa 1999, testi di Teresio Cocco, Camillo Gasbarri e Giovanni Tavano), proprio all’altezza del palazzo della Provincia campeggia la scritta in caratteri dell’epoca: “Re, Duce, siamo pronti, Gibuti-Tunisia”, a sottolineare l’iniziale consenso alle imprese coloniali del fascismo. Un piccolo passo indietro fino al 1905, anno della visita dei reali d’Italia alla città di Chieti.
Una cartolina di grande impatto espressivo (da “Cartoline di Chieti” di Giorgio Cornacchia, edizioni Tinari, Bucchianico 1996) immortala il passaggio su corso Marrucino della carrozza delle “loro maestà” Vittorio Emanuele III e la regina Elena tra due ali di folla festante. E’ l’11 giugno del 1905 e la presenza della famiglia reale funge da spettacolare corollario all’inaugurazione della ferrovia elettrica Chieti-Stazione e della imponente rassegna d’arte antica abruzzese, composta da oltre 2300 pezzi, organizzata da Cesare De Laurentiis nel palazzo municipale.
Chieti è in espansione. Ed il suo corso ne è cuore e polmone. Crescono i circoli culturali e le caffetterie (il vecchio Barattucci, ormai scomparso, il Gran Caffè Roma, dagli anni trenta ribattezzato Gran Caffè Vittoria, ed il Caffè Impero, inaugurato il 6 settembre 1936), nella duplice funzione di circoli ricreativi e caffè letterari, palpitano di idee e prospettive.
Corso Marrucino è anche tradizione musicale per l’omonimo, delizioso teatro. E’ tradizione religiosa per le sue chiese, San Domenico e San Francesco, e per il suo ruolo di scena centrale del Venerdì santo, la processione più antica d’Italia: i suoi palazzi gentilizi costituiscono così una itinerante cassa di risonanza per le irripetibili note del Miserere di Saverio Selecchy. Il resto è storia dei nostri giorni. Dalle devastazioni del suo sottosuolo infarcito di testimonianze archeologiche, segni dell’antico splendore purtroppo violati dai lavori stradali degli anni sessanta, al più lieto evento della visita del presidente della repubblica Carlo Azelio Ciampi (16 settembre 2005).