CHIETI

“Ha ucciso la madre per soldi con lucida ferocia e senza pietà”: ergastolo all’autore dell’omicidio di Bucchianico

9 Gennaio 2025

La Corte d’Assise di Chieti ha condannato all’ergastolo Cristiano De Vincentiis, 52 anni, responsabile dell’omicidio volontario della mamma sessantanovenne Paola De Vincentiis, trafitta con una lama lunga venti centimetri, la mattina del 19 ottobre 2022

CHIETI. Ha ucciso la madre per soldi, accoltellandola 34 volte «con lucida ferocia» e «senza mostrare alcun sentimento di pietà». Ecco perché la Corte d’Assise di Chieti (presidente Guido Campli, giudice estensore Enrico Colagreco) ha condannato all’ergastolo Cristiano De Vincentiis, 52 anni, responsabile dell’omicidio volontario della sessantanovenne Paola De Vincentiis (i due hanno lo stesso cognome), trafitta con una lama lunga venti centimetri, la mattina del 19 ottobre 2022, in una piccola casa di Bucchianico, al civico 4 di via Cappellina San Camillo. È vero, la prima ad aggredire è stata la vittima. Ma l’accusa – rappresentata dal pubblico ministero Giancarlo Ciani – ha dimostrato che quella donna era spaventata e disperata. L’imputato, secondo i giudici, si sarebbe potuto semplicemente allontanare, portando con sé il coltello, «piuttosto che portare a compimento il proposito omicida, accanendosi sul corpo del genitore con il coltello di cui si era impossessato».

IL MOVENTE

Quanto al movente, si legge in un passaggio chiave delle 22 pagine di motivazione, «la causa psichica di tale efferata violenza perpetrata nei confronti della vittima si rinviene nel clima esacerbato dai contrasti tra madre e figlio per ragioni economiche, dal momento che l’imputato – disoccupato e titolare di una piccola pensione d’invalidità – conduceva uno stile di vita di gran lunga sproporzionato rispetto alle sue possibilità e di quelle della madre, la quale, ancorché insofferente di ciò, per timore della indole violenta e imprevedibile del figlio, non aveva mai in concreto opposto resistenza alle sue continue richieste di danaro».

LE TESTIMONIANZE

Tant’è che Paola confessò alla sorella Gabriella «di temere della propria vita (“Questo mi uccide”) qualora avesse detto al figlio che “i soldi stavano finendo”». Non solo: dal racconto di altri due testimoni, vale a dire i compagni di cella in momenti diversi di De Vincentiis, è emerso come l’uomo «serbasse un fortissimo rancore nei confronti della defunta madre e anche della zia». In particolare, uno dei detenuti ha riferito «di essere rimasto sconvolto perché non c’era giorno in cui lui non parlasse della madre con epiteti veramente irripetibili. Mi raccontò che c’erano frequentissimi litigi con lei e che c’erano sempre motivi economici alla base. L’accusava di non dargli i soldi che gli servivano per le sue cose, diciamo per i suoi vizi». La Corte, dunque, rimarca come «l’intensità del dolo sia rafforzata, all’evidenza, da motivi di lucro che hanno sorretto l’azione delittuosa e, in particolare, dalle continue e quasi asfissianti richieste di denaro che De Vincentiis indirizzava alla sfortunata madre (che spesso non riusciva a esaudire) al fine di soddisfare le proprie esigenze di carattere essenzialmente ludico-voluttarie, che hanno ingenerato una tensione tale da minare irreversibilmente la serenità del rapporto di filiazione».

NESSUNA provocazione

Secondo i giudici, va esclusa la causa di giustificazione della legittima difesa, così come un eccesso colposo della stessa. Non sussiste neppure l’attenuante della provocazione, perché «l’aggressione della vittima nei confronti dell’imputato non è stata altro se non un pretesto meramente occasionale di cui egli ha profittato per dare sfogo alle proprie prepotenze e alla propria aggressività verso la madre». Non si può parlare neanche di «vizio parziale di mente», perché Cristiano «è stato giudicato perfettamente in grado di intendere e di volere al momento del fatto e di possedere la piena capacità processuale», come accertato dal perito Giovanni Battista Camerini. I giudici negano all’assassino anche le attenuanti generiche.

NO ALLE ATTENUANTI

«Dopo avere commesso l’omicidio», si legge ancora in sentenza, «De Vincentiis è stato visto, sporco di sangue e con il coltello in mano, dalla vicina di casa: di qui, la necessitata scelta collaborativa, di natura esclusivamente utilitaristica, di telefonare al servizio di soccorso, confessando l’uccisione della madre. Durante la lunga interlocuzione con l’operatore del 118, l’unica preoccupazione che attanaglia De Vincentiis non è quella di favorire le operazioni di soccorso, ma quella di conferire con l’autorità giudiziaria, ripetendo ossessivamente di essere stato aggredito dal genitore, pur a fronte delle richieste pressanti dell’operatore circa il proprio indirizzo di residenza al fine di avviare, celermente, le operazioni di soccorso. Può dirsi, quindi, che l’unica preoccupazione dell’imputato è stata quella di alleggerire la portata delle conseguenze giudiziarie della propria condotta, senza mostrare alcun sentimento di resipiscenza o quantomeno di pietà nei confronti della madre uccisa».

«desiderio DI VENDETTA»

Anche nei giorni successivi al delitto «non si registra alcun elemento che deponga per un pentimento per il gravissimo fatto commesso. Emergono, piuttosto, i segnali di un suo perdurante sentimento di astio nei confronti della madre e di un desiderio di vendetta nei confronti delle zie». Verso queste ultime, ha raccontato sempre uno dei compagni di cella di De Vincentiis, l’assassino «aveva un grande rancore perché, a suo dire, lo hanno privato dei soldi. Mi diceva: “Quando io esco, se uscirò, le voglio uccidere”». L’avvocato Gian Luca Totani, difensore dell’imputato, presenterà ricorso alla Corte d’Assise d’Appello dell’Aquila.