TOLLO

In 45 lo picchiano in strada: rito medievale per vendicare un’offesa 

I carabinieri evitano il linciaggio e identificano sette albanesi violenti. Ma il pestato finisce in manette perché prende a gomitate i militari

CHIETI. «Volevano linciarlo: gli aggressori erano 40, forse 45», riassume il maresciallo davanti al giudice, in un’aula del tribunale di Chieti, all’indomani della cruenta aggressione che ha seminato il panico sulle strade di Tollo alle 9 di sera. I carabinieri hanno evitato l’epilogo sanguinario previsto dal Kanun, il codice d’origine medievale albanese che ancora dà il «diritto» a uccidere un rivale per vendicare un’offesa, in un’esasperata sproporzione tra torto subito e pena.
ARRESTO E DENUNCE
L’aggredito, Albian Taku, 30 anni, giardiniere senza fissa dimora né permesso di soggiorno, è stato poi arrestato perché si è scagliato contro i militari che pure lo stavano soccorrendo, ferendone uno. Il giovane se l’è cavata con 15 giorni di prognosi e il divieto di dimora a Tollo, mentre sette autori del pestaggio nei confronti dell’arrestato sono stati già identificati e denunciati a piede libero per lesioni aggravate: sono tutti appartenenti alla numerosa comunità albanese che vive in paese. Le indagini vanno avanti per individuare anche gli altri responsabili dell’assurda faida alla cui base, stando a quanto ricostruito dagli investigatori, c’è un’offesa di Taku ai danni della sorella di uno dei picchiatori.
LA TELEFONATA AL 112
Tutto comincia intorno alle 21 di giovedì, quando un uomo telefona al 112 e racconta che a Tollo, in via Santa Marina, alcune persone di origine albanese stanno intimorendo e aggredendo verbalmente il figlio. Sul posto si precipita la pattuglia più vicina, quella della stazione di Miglianico. Ma, prima di arrivare al civico indicato, i carabinieri notano tre ragazzi – si scoprirà poi albanesi – che stanno pesantemente malmenando in strada un connazionale, successivamente identificato in Taku. Fatto sta che quest’ultimo, palesemente ubriaco, sferra tre o quattro pugni contro l’auto dell’Arma.
IL PRIMO PESTAGGIO
Lui tenta di fuggire, ma i militari riescono a immobilizzarlo. Il problema è che, in quegli stessi istanti, più di 20 persone – sempre albanesi – si avvicinano e iniziano a colpire Taku con una raffica di calci e pugni. I due militari, non senza fatica, riescono a sedare la prima aggressione, a seguito della quale sia i picchiatori che il trentenne si dileguano. Le ricerche in zona scattano immediatamente e, a distanza di pochi minuti, i carabinieri trovano Taku di fronte al bar Gino: è a terra, non risponde alle domande e sembra che non respiri. In rapida successione, parte la richiesta d’intervento al 118 e arrivano di rinforzo anche le pattuglie di Fossacesia e del radiomobile di Ortona.
LA SECONDA AGGRESSIONE
Come in una scena già vista, sul posto piomba ancora una volta il gruppo di aggressori, nei numeri più che raddoppiato. «Hanno applicato una faida interna, prevista dal Kanun, secondo cui, in presenza di un’offesa, per vendicarsi, bisogna ammazzare l’autore del torto più un’altra persona», svelerà il maresciallo di cui sopra davanti al giudice Enrico Colagreco. «Ecco perché non volevano che lo arrestassimo: volevano prenderlo loro». Ma torniamo all’aggressione. Il branco, composto da circa 45 persone, si scaglia nuovamente contro Taku. A un certo punto il giardiniere riesce ad alzarsi da terra, poi prende in mano una bottiglia di vetro trovata sull’asfalto per scagliarla sulla testa di uno dei connazionali. I carabinieri cercano di trattenerlo e lui, dimenandosi, rifila gomitate ai militari e cade addosso a uno di loro, procurandogli ferite poi giudicate guaribili in sette giorni.
UN MILITARE FERITO
Al tempo stesso, il gesto del trentenne con la bottiglia in mano scatena la reazione dei rivali, che continuano a picchiarlo. Finché gli uomini dell’Arma sedano anche questa colluttazione. Dopo gli accertamenti in pronto soccorso, Taku finisce in manette per resistenza e lesioni a pubblico ufficiale e – su disposizione del sostituto procuratore Giuseppe Falasca – viene portato in cella di sicurezza. Contestualmente, iniziano gli accertamenti che consentono di dare un nome ai primi aggressori.
L’UDIENZA
Arriviamo così a ieri mattina, quando Taku, in un italiano incerto, prova a giustificarsi, sostenendo di aver bevuto solo una birra. Il pm d’aula Luisa Bertini sollecita per l’albanese il carcere, ma il giudice – accogliendo la richiesta dell’avvocato Diego Bracciale – adotta una misura meno pesante, ovvero il divieto di dimora a Tollo, il paese dove potrebbero consumarsi i propositi di vendetta del branco che già non ha esitato ad accanirsi in strada contro il connazionale.
©RIPRODUZIONE RISERVATA