Scerni, coniugi morti: «Nessuna protezione tra il sentiero e il fiume»
Sopralluogo di periti e forze dell’ordine dove è morta la coppia. La sorella di Silvia mostra il percorso. L’avvocato: va messo in sicurezza
SCERNI . Tornare sulle sponde del fiume Orte nel luogo dove ha visto morire la sorella Silvia non è stato facile. Angela D’Ercole lo ha fatto proprio per rendere giustizia a lei e al marito Paride Pirocchi, per tutti Giuseppe. Insieme al legale di famiglia, l’avvocato Arnaldo Tascione, a due periti e ad altri familiari, la donna ha compiuto ieri un sopralluogo nei luoghi della tragedia avvenuta il primo maggio. Quel giorno Silvia D’Ercole e Giuseppe Pirozzi sono scivolati in acqua. Hanno tentato di aggrapparsi alle rocce ma la corrente li ha trascinati via.
«Nonostante quello che è accaduto lunedì scorso e nonostante nello stesso punto fossero morti altri tre giovani, non è stato sistemato alcun cartello che indica la pericolosità delle sponde e la presenza di fanghi scivolosi. Né la zona è stata opportunamente interdetta con un nastro», dice indignato l’avvocato Tascione al termine del sopralluogo. Accanto al legale, l’ingegnere Lino Prezioso, esperto in fanghi, e l’architetto Antenucci. A loro Angela D’Ercole, testimone oculare della morte della sorella Silvia e del cognato ha indicato il percorso fatto. «Il camminamento è privo di cartelli. C’è un lembo franato in corrispondenza di un precipizio. Il passaggio, però, è aperto a tutti. La zona andrebbe transennata e messa in sicurezza», è la conclusione degli esperti. Silvia, Giuseppe, i loro bambini e le altre tre persone che, il primo maggio, facevano parte della comitiva arrivata da Scerni, hanno seguito il percorso turistico che conduce alle “Marmitte” e che è indicato da una freccia.
«Quell’indicazione è l’unico cartello. Assurdo. Servono cartelli che indicano il pericolo e un minimo di misure di sicurezza», insiste Tascione. Il legale e i periti hanno realizzato anche un dossier fotografico che sarà rimesso alla magistratura. Nella relazione si evidenziano le criticità e le presunte omissioni. «In queste condizioni non si può parlare di tragica fatalità», afferma l’avvocato. Ieri a Caramanico c’erano anche i carabinieri che hanno eseguito perizie per la Procura di Pescara e gli agenti della Forestale. «Le famiglie di Silvia D’Ercole e Giuseppe Pirozzi non possono rassegnarsi. Non trovano giusto che si parli di tragica fatalità, né che si sia cercato di attribuire la disgrazia ad un selfie», rimarca il penalista, «Silvia D’Ercole, come altre 50 persone che il primo maggio erano in quel posto, ha seguito il percorso turistico ed era attenta alle indicazioni. Se ci fosse stato un cartello che invitava a fare attenzione avrebbe evitato quel percorso che è risultato fatale a lei e al marito. Nessuno potrà riportare in vita Silvia e Giuseppe, ma è possibile e doveroso evitare altre disgrazie». (p.c.)
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