Strage di Brescia, giallo risolto a Chieti: prof della D'Annunzio incastra il terrorista
E’ firmata dal prof Capasso la perizia che "trova" il volto del killer e fa condannare all'ergastolo Tremonte dopo 41 anni e 12 processi. Nella strage di Piazza della Loggia, il 28 maggio del 1974, i morti furono 8 e i feriti 102
CHIETI. A distanza di 41 anni e 12 processi c'è stata, come è noto, una sentenza definitiva di condanna per la strage di Piazza della Loggia a Brescia, avvenuta il 28 maggio del 1974 con 8 morti e 102 feriti: la Corte d'appello di Milano ha infatti condannato all'ergastolo Maurizio Tremonte e Carlo Maria Maggi. Pochi forse sanno che questa vicenda giudiziaria, che comunque non esalta la credibilità del nostro sistema giudiziario, ha avuto un passaggio importante a Chieti, nei laboratori del Museo delle Scienze della università d'Annunzio, diretto dal professor Luigi Capasso. Infatti nel novembre del 2000 il pubblico ministero della Procura di Brescia dottor Francesco Piantoni affidò al professor Capasso l'incarico di procedere ad "accertamenti antropologici"su alcune foto scattate pochi minuti dopo l'esplosione della bomba.
«In una di queste foto - spiega il professor Capasso - si scorgeva una persona nei confronti della quale il magistrato chiese di procedere alla “caratterizzazione antropologica”. Nella foto, scattata dallo studio Eden di Brescia a distanza di pochi minuti dall'attentato, si intravedeva, parzialmente coperto dal viso in lacrime di una donna, il volto di un uomo, sospettato dalla Procura di aver partecipato alla programmazione e alla esecuzione della strage». Quell'uomo, di cui la foto immortalava solo una piccola parte del lato destro del volto, era Maurizio Tremonte: infatti le conclusioni del lungo e complesso lavoro portato avanti dal professor Capasso sono state che quella immagine è "antropologicamente compatibile" con quella del neo-fascista veneto, che fu anche informatore del Sid infiltrato in Ordine nuovo e che era identificato con il nome di "fonte Tritone". Un personaggio che, fino all'ultima sentenza che lo ha condannato alla massima pena, era passato indenne attraverso vari procedimenti giudiziari.
Ma come si è giunti a dare un "positivo giudizio di identità" partendo da una foto che ritraeva una piccolissima parte del viso del soggetto a cui dare un nome? Lo spiega il professor Capasso: «Una vecchia fototessera in bianco e nero di Tremonte è stata sovrapposta tante volte a quell’immagine scattata subito dopo la strage (si vede inginocchiato davanti al cadavere di Alberto Trebeschi, insegnante di 36 anni, il fratello Arnaldo in preda alla disperazione). Un lavoro di estrema precisione e complessità, eseguito secondo un metodo codificato, a esempio da Introna, perché per arrivare alla conclusione sono stati sezionati gli zigomi, il naso, le labbra ed anche le rughe». Tutto è spiegato nei minimi dettagli nella perizia consegnata alla Procura. Un lavoro poderoso fatto di quasi cento pagine, 98 per la precisione, che hanno ricevuto l'avallo della Cassazione e della Corte d'appello, nel momento in cui è arrivata la sentenza definitiva di condanna di Tremonte e Maggi.
Va anche detto che Maurizio Tremonte ha sempre decisamente smentito di essere lui la persona ritratta in quella foto, ma i giudici hanno dato credito pieno alla ricostruzione fatta da Capasso nella sua relazione di "consulenza tecnica di antropologia"consegnata il 26 gennaio del 2001. C'è da precisare anche che Capasso nella sua relazione osserva che "pesano alcune carenze informative che impongono prudenza". Carenze evidentemente superate, almeno nel giudizio dei magistrati, dal rigore scientifico con cui la consulenza è stata portata avanti, fino alla sua conclusione che di certo ha portato, a distanza di tanti anni dal fatto, un consistente aiuto alle tesi accusatorie della Procura della Repubblica. «Sono poi accertamenti fatti - spiega ancora il professor Capasso - in un periodo in cui i mezzi disponibili non erano quelli di oggi, a dimostrazione della capacità operativa dei nostri laboratori e della qualità di chi vi opera». In effetti questa vicenda va considerata e valutata come un'altra medaglia meritata non solo dal professor Capasso ma anche dalla struttura che, con il museo delle Scienze, è stata creata presso l'università d'Annunzio.
Non è poi la prima volta che Capasso viene chiamato a svolgere consulenze tecniche per vicende nazionali che hanno avuto clamoroso impatto nella opinione pubblica. Si deve ad una sua perizia la certezza che quando il 18 luglio del 1982 a Londra venne scoperto il cadavere di Roberto Calvi, impiccato sotto il Blackfriars bridge ci si trovava di fronte non ad un suicidio ma ad un omicidio, di cui peraltro non si è mai conosciuto il colpevole. Conclusione a cui giunse esaminando i resti del banchiere, e il contenuto di materiale che era stato in contatto con i cadavere. La fama di studioso che lo accompagna nel 1991, quando sulla Alpi Venoste, a 3.213 metri di altezza venne trovata una mummia straordinariamente conservata, nota oggi come Oetzi o Mummia del Similaun, gli procurò la designazione da parte del governo italiano come esperto per esaminare quegli importantissimi resti.
«Sono un funzionario dello Stato che fa il proprio dovere - dice Capasso - e nella struttura museale che ho l'onore di dirigere ho collaboratori di grande capacità e passione: alla base dei risultati raggiunti c'è solo questo». E non è certo poco, visto il momento che vive il mondo della cultura e della ricerca.