Contu: «Il diario di mio zio, fascista salvato da partigiani»

25 Aprile 2025

Esce oggi “Domani sarà tardi”, tra resoconto storico e racconto di finzione. L’autore del libro è lo scrittore, giornalista e direttore dell’Ansa

PESCARA. Scrive, in una lettera del 10 giugno 1946, la giovane Virette: «Non è possibile soffocare un amore in nome dell’ideologia». Il destinatario di questa lettera è Luigi Contu e l’ideologia è quella che lo spinse, dal 1922, a giurare fedeltà al fascismo. Vivette, la donna amata, Luigi la descrive, ridendo, «bella più di una anguria rossa di Gonnos, la migliore della Sardegna». E alla fine, sia l’amore che l’ideologia crollano sotto il peso della disillusione: «Avevo un ideale per il quale morire e un amore che mi dava la forza di vivere, spazzati via entrambi in quei maledetti giorni di aprile».

Quei giorni di Aprile, che spazzano via vent’anni di convincimenti e l’amore giovanile di Luigi Contu, li racconta l’omonimo pronipote nel libro Domani sarà tardi. Il 25 aprile di un fascista salvato dai partigiani, che esce oggi per Solferino e che prende le mosse dalla caduta della Repubblica di Salò e la resa di Mussolini. «Luigi faceva parte di quella corrente politica che gli storici hanno definito “la sinistra fascista”, un gruppo che all’interno del regime ha espresso fino alla fine idee fortemente anticapitaliste e antiborghesi», spiega Luigi Contu, direttore dell’Ansa e autore del libro, «Quando nel 2020 mi sono dedicato alla sistemazione della biblioteca di famiglia, la cui storia ho raccontato nel mio primo libro, ho trovato i suoi diari, rimasti per ottant’anni in una scatola in attesa di essere letti. Due quaderni nei quali Luigi ha sinteticamente annotato i fatti in cui fu coinvolto a partire dal 23 aprile del 1945».

Da qui prende le mosse un racconto che unisce a questi stralci di diario sezioni arricchite dalla fantasia dell’autore, per tracciare un itinerario che è sia ricostruzione attenta del contesto storico, politico e sociale degli anni della caduta del fascismo sia un tratteggio psicologico di quel prozio che si disse «fascista della prima ora», credendo nel movimento di Mussolini come lo strumento privilegiato per le «riforme sociali in favore della povera gente, dei braccianti, degli operai. Sperando che attraverso il fascismo si potesse realizzare il sogno mazziniano». Ma con la serpe della guerra insidiata nelle sue maglie: «L’Italia era tutta lì e voleva sentire una sola parola: guerra», si leggerà poco dopo.

Un fascista «di sinistra» che non ha mai ritrattato le sue posizioni («Io vi sto dicendo che non mi pento dei miei ideali»), e attraverso le cui vicende e i ragionamenti e i sentimenti dispiegati in quel fiume di pagine di diario che compongono il libro, mostra la psicologia di chi scelse Salò nonostante tutto e fino all’ultimo giorno. E ne emerge un quadro nuovo rispetto alla letteratura tradizionale sul tema: «Una storia inedita su quel 25 Aprile del 1945», prosegue Contu, «che mi è parsa diversa dalle tante che abbiamo conosciuto e forse, per questo, meritevole di essere raccontata, soprattutto in un Paese che a ottant’anni dalla Liberazione dal nazifascismo non è ancora riuscito a chiudere definitivamente i conti con il proprio passato».

Come un Fabrizio Del Dongo a Waterloo, c’è l’incertezza di chi sa che sta succedendo qualcosa attorno a sé, ma non capisce precisamente che direzione stia prendendo la Storia: il fascismo sta crollando sotto i colpi della Resistenza, e Contu confida a Don Gianni: «Da qualche settimana anche a me sembra che la situazione sia gravemente peggiorata. I bombardamenti alleati si intensificano, le azioni dei partigiani diventano di giorno in giorno più efficaci. Ma non abbiamo notizie dirette». E Don Gianni: «Qui le cose volgono al peggio, lo sapete. Le cose stanno cambiando e tra poco sarete voi a finire sotto i colpi di fucile».

E poi il ritorno a casa, l’arresto, quindi l’entrata in scena dei partigiani che, come da titolo, salveranno il protagonista repubblichino al momento della condanna a morte (ma questa è la climax dell’opera, non si può rivelare). Ma nelle crepe della storia c’è spazio anche per l’infiltrazione di un po’ di luce. Così, nel testo che non risparmia dettagli di crudo realismo sull’atrocità del conflitto, anche un momento di tenerezza come quando Contu appunta: «Il primo sorso mi rammenta le serate allegre e spensierate trascorse insieme a Virette, quando felici prendevamo l’aperitivo al Caffè Pedrocchi di Padova. Il barman metteva un filo di zucchero sul bordo dei calici, un tocco di dolcezza».

E alla pace agognata si torna con una Repubblica «sorta dall’aspirazione del rinnovamento della vita nazionale», e che dunque risponde alla «giusta e profondamente sentita (...) necessità di un rapido avviamento del Paese a condizioni di pace politica e sociale».

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