Dejan, il “Karaoke Reporter” che fa cantare tutti: «I bravi politici sanno che oggi la comunicazione è così»

L’intervista a Karaoke Reporter, il cronista che fa cantare politici e star della tv: «Berlusconi? Sarebbe stato un ospite perfetto, il mio format è figlio di quel linguaggio. Renzi fu un colpaccio: capì subito le potenzialità del mezzo»
Ha fatto cantare Donne a Stefano Bandecchi e La locomotiva a Vannacci, a cui Salvini ha invece dedicato Generale. Cinque volte al suo microfono la premier Giorgia Meloni, una volta sua sorella Arianna. Per lui Razzi ha cantato sei volte, Renzi cinque. E poi ancora Sgarbi, Conte, Di Maio, Alemanno, Gasparri, la Lorenzin e la Taverna; Amadeus, Fiorello, Maria De Filippi.
È la magia di Dejan Cetnikovic, più noto con il nome d'arte "Karaoke Reporter", cronista di Radio Rock diventato virale grazie ai suoi video originali: con il suo format, nato nel 2015, racconta il Paese attraverso i brani italiani e internazionali cantati da politici e personaggi televisivi. E dal 2016 grazie a lui a Sanremo, cantano anche i conduttori.
Al Festival ha fatto esibire Carlo Conti. Gli perdoniamo le stonature?
«Il bello di fare queste interviste-karaoke è proprio quello, umanizzare personaggi che vediamo sempre in contesti formali. Conti è la terza volta che canta per me, in questo caso portando Wish you were here dei Pink Floyd».
Qualche giorno fa l'ha fatta cantare anche a Luca Telese. Chi vince tra i due?
«Luca è stato sicuramente più bravo, però era in radio. Lo sfido a cantare di nuovo ma in video».
E con le telecamere di Blob, soprattutto.
«Una sera mi sono ritrovato contestualmente su Blob, Di Martedì e Striscia la notizia. Questo dimostra che non serve avere un grande network, basta una buona idea».
Qual è stata l'intuizione?
«Io nasco inviato di Radio Rock. Nei palazzi della politica volevo un'interazione diversa dal solito politichese, immaginavo una dichiarazione rilasciata usando una canzone».
Quando c’è stata la svolta?
«Iniziai con un Ignazio Marino ancora sbarbatello, nel 2015, ma il colpaccio è stato Renzi quando era Presidente del Consiglio».
Cosa cantò?
«Si può dare di più, ma su questo dimostrò di essere un campione della comunicazione. Capì subito le potenzialità del format e cambiò il testo usandolo a suo favore per promuovere il referendum».
Berlusconi l'ha mai fatto cantare?
«No, era già sul viale del tramonto. Questo format però è figlio del berlusconismo e lui sarebbe stato perfetto».
Si è consolato con Razzi, sei volte.
«Ti consiglio, tra le tante, la sua interpretazione di Gangnam Style, canzone sudcoreana che Razzi dedicò a Kim Jong-un. Un messaggio di pace».
Perché nomi del genere accettano un’intervista così?
«Capiscono che è un modo diverso per fare una dichiarazione. Un Renzi che canta Ricominciamo di Pappalardo dopo aver perso il referendum è uno che capisce come funziona la comunicazione di oggi. Anche la Meloni è così, ed è circondata da uno staff di persone brillanti che sanno stare al passo con i tempi».
Qualche rifiuto clamoroso?
«C’è sempre chi si tira indietro, credo per timidezza. Lo capisco, anche se un politico dovrebbe essere, secondo me, brillante in ogni occasione e prestarsi. Io da parte mia il tentativo lo faccio sempre, bisogna crederci».
A proposito di crederci, che ci faceva al Costanzo Show a vent’anni?
«Ci sono finito grazie a una lettera con cui mi definivo «volantinante» e che finiva con «volantinanti di tutto il mondo, unitevi!». Costanzo la trovò divertente e mi ospitò».
Che ricordo ha di quell’esperienza?
«Costanzo era un uomo burbero ma apprezzava molto la genuinità. La chiave è sempre quella: essere naturali».
E quando si stuferà cosa farà? Proverà con un altro format?
«Nel tempo posso dire, senza presunzione, di essermi costruito un pubblico e una credibilità. Quindi certamente porterò avanti nuovi progetti, ho un paio di idee...»
©RIPRODUZIONE RISERVATA