Ezio Greggio a Città Sant’Angelo: «A teatro ho un pubblico di ogni età»

7 Aprile 2025

Il volto della televisione è stato sabato al Comunale per lo spettacolo sulla sua carriera tra classici e inediti: «Leslie Nielsen un amico splendido. Con Avati vinsi il Flaiano, oggi rifarei un ruolo drammatico»

CITTÀ SANT’ANGELO. È quasi impossibile riassumere tutto ciò che Ezio Greggio è riuscito a fare in circa cinquant’anni di carriera. Protagonista tra televisione e cinema, al centro di programmi cult come Drive In, Paperissima, La sai l’ultima? e Striscia la notizia, ma anche di decine di film per il cinema e la televisione (Yuppies, Vacanze di Natale, Anni ‘90, Anni ‘50, Il Silenzio dei prosciutti, Selvaggi, Il papà di Giovanna per citarne alcuni), e un Flaiano a legarlo all’Abruzzo, tra i premi collezionati.

Nella nostra regione è tornato, dopo 16 anni da quella premiazione, per il one man show Una vita sullo schermo, una produzione tutta abruzzese (Stefano Francioni Produzioni) che ha registrato sold out a Milano, Torino e Bologna e che sabato sera è arrivata anche al Comunale di Città Sant’Angelo. Uno spettacolo in cui il pubblico trova la storia della tv italiana di ieri e di oggi attraverso i monologhi, le parodie, i tormentoni di Greggio assieme a tanti contenuti inediti e qualche sorpresa.

Con una carriera così vasta, come si fa a scegliere cosa inserire in uno spettacolo di un’ora e mezza?

«Abbiamo tirato a sorte (ride, ndr). Si doveva fare una scelta di argomenti che non solo fossero interessanti o divertenti ma anche che privilegiassero la dimensione teatrale. Credo che il risultato abbia centrato il punto: c’è un ritmo forsennato e il pubblico rimane incollato alla poltrona, al punto che chi viene a vedermi, dopo i bis e i tris, non è mai stanco e resta in teatro, non se ne va neanche quando le luci si accendono. Questo mi rende felice perché vuol dire che c’è tanto affetto da parte del pubblico».

Un pubblico di coetanei o ci sono anche ragazzi?

«Proprio con lo spettacolo mi sono reso conto del fatto che, anche se ho un pubblico chiaramente cresciuto con i miei programmi e il mio cinema, in teatro vengono moltissimi ragazzi, che magari hanno l’età dei miei figli e mi scoprono dalle clip sui social, dai film in streaming o in dvd. A Torino ho trovato un fiume ventenni, addirittura ho conosciuto un mio fan che è venuto a vedermi con il padre 90enne e il figlio che aveva una trentina d’anni».

Parlando della sua carriera, quest’anno sono quindici anni dalla morte di Leslie Nielsen. Che ricordo ha di un’amicizia che vi ha legati per tanto tempo dentro e fuori dal set?

«Per me era come avere un parente americano, e del resto è stato così anche con Mel Brooks. Leslie aveva una visione sempre molto divertita della vita. Era folle, incontenibile, faceva sempre scherzi. Ci sentivamo e ci incontravamo con frequenza, è stata un’amicizia lunga e duratura che mi ha lasciato tanti meravigliosi ricordi. E infatti nello spettacolo parlo anche di lui».

Qualche follia, andando a memoria, l’ha fatta anche lei. Per esempio quando cantò in rumeno la sigla di “O la va o la spacca” con lo pseudonimo di Eziu Greggiescu. Come nacque l’idea?

«Non sapevamo che sigla fare, eravamo disperati. A un certo punto viene un mio amico discografico e dice: “Ma perché non fai questa canzone?” e mi fece sentire Imi plac ochii tai di 3rei Sud Es, che all’epoca andava molto forte. Lui voleva tradurla in italiano, ma non c’era tempo. Però ormai l’idea mi aveva conquistato, quindi dopo qualche riflessione me ne sono uscito dicendo: “La faccio. La canto in rumeno”».

E in Romania – lo so da testimonianze di alcuni amici – è famosa.

«È stato uno dei miei exploit internazionali, poco ma sicuro (ride, ndr

Ma, in mezzo a tanta comicità, lei trovò anche lo spazio per un ruolo drammatico divenuto celebre grazie a un’intuizione di Pupi Avati ne “Il papà di Giovanna”. Le piacerebbe farne ancora?

«In realtà ho in ballo un paio di cose… non ne posso parlare. Però la risposta è “certamente”. Anche perché chi fa il mio lavoro è sempre ben disposto a fare parti drammatiche».

In che senso?

«Far ridere è molto complicato, molto più di far piangere. Trovare la chiave per strappare una risata al pubblico è un processo più complesso di quello che serve per far uscire una lacrima».

Però è sempre una sfida, venendo da una carriera interamente comica.

«Quando Pupi mi ha chiamato per il film e mi ha raccontato la storia prima che a chiunque altro, ero così felice e desideroso di farlo che gli ho detto “Non so che ruolo vuoi farmi fare ma qualsiasi cosa sia la faccio, interpreto anche Giovanna se serve”. Ed è stata una scelta fortunata, ho vinto tanti premi con quel film».

Tra cui un Flaiano a Pescara.

«Sì, in una serata bellissima che ricordo con grande piacere».

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