Faccia a faccia con Minoli Mister tv è tornato, ma non se n’era mai andato

24 Ottobre 2024

Il giornalista su Rai Tre dal lunedì al venerdì con La Storia siamo noi  «La lottizzazione non c’è più, oggi ci sono le cordate degli amici»  

A Marco Travaglio non piace, ma lui ha fatto la storia della televisione italiana, quella di contenuti e di notizie, non quella di invettive e maldicenze, più familiari ad altri. Una storia che per 18 anni, dal 1980 al 1998, ha unto del sigillo di personaggio i volti della prima Repubblica, ha regalato qualche scoop e ha reso famosa Jazz Carnival, la musica ritmata e psichedelica degli Azymuth che di Mixer era la sigla.
In Rai dal 1972, autore e produttore di programmi iconici indimenticabili e indimenticati, come Quelli della notte con Renzo Arbore, Blitz con Gianni Minà o Aboccaperta, con Gianfranco Funari. E poi Un posto al sole, Elisir, La grande storia, Agrodolce, giusto per citare fior da fiore. Dal 7 ottobre scorso (tutti i giorni dal lunedì al venerdì alle ore 11:20 su Rai3) è tornato sul piccolo schermo con una nuova serie di La Storia siamo noi, ed è entrato da subito nel cuore di un’attualità mai slegata dalla storia. O, forse, il contrario. Eppure, non piace alla gente che piace. Forse perché è rude e spiccio, forse perché è sempre di moda. Infatti, Marco Travaglio gli ha dedicato alcune gocce della razione quotidiana di curaro: «A ogni giro di nomine Rai arriva, puntuale come le tasse, la “candidatura Minoli”». Per non dire che l’unico a volere Giovanni Minoli è Minoli Giovanni, i gazzettieri fanno i vaghi: “spunta”, “avanza”, “se ne parla”. Stavolta lui fa il prezioso: siccome nessuno gli ha chiesto niente, dice che se qualcuno gli chiede qualcosa «allo stato attuale non ci sono le condizioni».
Minoli, se mi perdona il giuoco di parole, cosa ha fatto al direttore del Fatto?
Non so. Sono anche stato gentile e premuroso con lui: gli ho risposto e gli ho mandato il mio curriculum. Così anche Marco potrà aggiornare quello stesso articolo che scrive, uguale, da dieci anni.
Le contestano ancora, un’era geologica dopo, lo spot elegiaco con Bettino Craxi...
Gli spot ai Craxi li ho sempre rivendicati, quindi non capisco dove sia il problema. La lettera che scrissi a Craxi (e cui Travaglio allude ndr), anche.
A parte l’intervista, a Craxi rifarebbe anche quell’introduzione maestosa e imponente con i Carmina Burana?
Boh, sì, ci stava.
E sua moglie, la elogerebbe ancora?
Parlare di mia moglie su una rete privata peraltro, visto che eravamo a La 7, come della più grande imprenditrice della fiction italiana, è solo dire la verità. Tanto è vero che anche il Presidente Mattarella lo ha riconosciuto e la ha nominata Cavaliere del lavoro. Quindi è meglio che si aggiorni, Travaglio. Ci sono molte cose più cattive che potrebbe dire. O, magari, qualcosa anche di positivo.
Accetta di farsi fare le stesse domande che lei ha fatto ai suoi ospiti sulla poltrona di Mixer?
Le faccia e non perda tempo.
Cosa le piace di più del potere, come chiese ad Amintore Fanfani nel 1986?
Mi piace di più il fatto di poter realizzare i sogni.
Senta, ma lei è massone (Cossiga, 1993)?
Io?? Assolutamente no.
Montanelli nel 1985 le disse che era stufo di avere ragione. Lei ha fatto una straordinaria carriera televisiva, è passato veramente attraverso tutto ed è ancora qui. Non sarà stufo di avere ragione anche lei?
No, non credo di aver avuto ragione. Ho fatto, evidentemente, delle cose buone.
Nel 1989 chiese a Craxi che cosa lo colpisse di più in una persona, lui le rispose “l'intelligenza”. Per lei?
Per me la bontà.
Dopo di lei, e questo lo chiese proprio con queste parole a Scalfari nel 1981, chi è il miglior giornalista italiano?
Il miglior giornalista italiano secondo me è Montanelli.
Risponde come Scalfari.
E cosa vuole che le dica? Se Scalfari ha pensato davvero questo, per una volta avrà avuto ragione anche Scalfari.
Vediamo se aveva ragione anche una seconda volta. Il fondatore di Repubblica disse che il difetto maggiore del giornalismo italiano è essere servo del potere.
È vero, è vero. Condivido.
Paolo Mieli, invece, ha detto che il grande problema del giornalismo italiano e francese, in opposizione a quello anglosassone, è quello di volersi schierare, di voler essere la notizia anziché dare la notizia. È così?
Da che pulpito!
Lei ha ricominciato la scorsa settimana una nuova avventura in Rai. C’è ancora lottizzazione?
No, la lottizzazione è figlia della prima Repubblica. Oggi ci sono le cordate degli amici. E anche degli amici degli amici.
Lei è mai stato lottizzato?
No, non sono stato lottizzato. Mai.
Allora crede in Dio. Crede in Dio? Lei l’ha chiesto a Berlusconi nel 1994 (e fece anche il 41% di share...)
Sì, assolutamente sì.
E sempre a Berlusconi ha chiesto se il Papa gli piacesse. A lei piace questo Papa?
A volte sì, a volte meno.
Nel faccia a faccia con Renzi, nel 2016, Trump era candidato alle elezioni presidenziali degli Stati Uniti. Otto anni dopo, siamo nuovamente a bomba. Chi vincerà e chi vorrebbe che vincesse?
Io penso che vincerà Trump. Ma in questo sono d'accordo con il Papa, ho l’impressione che ognuno dei due candidati, Trump e Harris, abbia dei limiti veramente rilevanti.
In termini di formazione, come chiese sempre a Renzi nel 2016, che cosa pensa che le sia mancato?
Sapere quattro lingue.
Il suo peggior difetto (Renzi, 2016)?
Confondere, certe volte, la passione con l’ira.
E come lo combatte?
Cercando di rendermene conto.
Se tornasse indietro che cos’è che non farebbe, come chiese ad Andreotti nel ’93?
Non smetterei mai di giocare a calcio.
Se ne è pentito?
Sì, mi sono pentito di aver smesso.
Crede alla fortuna o ognuno ha davvero quello che si merita?
Io credo alla Provvidenza.
Parlando di Provvidenza, come chiese a Raoul Gardini nel 1987, c’è mai stato un momento in cui è successa una cosa quando lei non se l’aspettava più?
Tantissime.
Quali?
Non gliele dico.
Ha rinunciato a qualcosa di importante per amore?
Qualche volta ho rinunciato all’amore per amore.
Lei ha fatto decine di Faccia a faccia, in questi cinquant’anni. Le propongo delle accoppiate arbitrarie di suoi intervistati e lei mi dice chi ha retto meglio al tempo.
Vada.
Martelli o De Michelis?
De Michelis.
Perché?
Mille e mille ragioni. Di qualità, di sincerità, di onestà nelle risposte.
Craxi o Andreotti?
Craxi, assolutamente.
Cossiga o Armandino Corona?
Cossiga.
Fanfani o Gava?
È più alto l’Everest oppure la collina di Torino?
Beh, quella a Gava fu una bella intervista...
Sì, ma non c’è paragone. Fanfani ha fatto la storia, Gava no.
Allora la stessa risposta me la darà se le chiedo chi abbia resistito al meglio tra Agnelli e Gardini.
Rivisti con gli occhi di oggi, beh, avevano tanti problemi tutti e due.
Berlinguer o Pannella?
Entrambi hanno retto molto bene. Pannella perché ha lasciato un’eredità di diritti civili, che mi pare che siano sulla cresta dell’onda e ancora al centro del nostro dibattito pubblico. E Berlinguer, con la sua battaglia sulla questione morale, anche.
Lei ha detto che di Berlusconi la colpì – in quell'intervista del 1994 – la lucidità nella visione della politica estera.
Sì, lo confermo.
Per quali motivi?
Perché aveva visto giusto su Gheddafi, aveva visto giusto anche su Putin e anche sulla storia del petrolio.
Lei che è passato attraverso la prima e la seconda Repubblica, oltre le banalità dei commenti da bar o da social, quali differenze notevoli trova?
Sono mondi inconfrontabili. Se non altro la legge elettorale diversa che ha dato svolta alla politica completamente diversa. E poi Mani pulite ha, come dire, raso al suolo un modo di fare politica.