SPOLTORE
Favino: «Ho debuttato sul palco dell’Aquila: è una città a me cara» / VIDEO
L’attore è arrivato oggi pomeriggio a Spoltore per la proiezione del film “L’ultima notte di Amore” di Andrea Di Stefano
SPOLTORE. «In Abruzzo, a Pescara, ho vissuto il mio primo anno di vita, perché mio padre lavorava lì. Ma soprattutto sono legato all’Aquila, lì ho debuttato subito dopo il diploma all’Accademia d’arte drammatica D’Amico. Erano tre spettacoli dello Stabile aquilano tratti da Goldoni, con la regia di Lorenzo Salveti, all’epoca direttore artistico del Tsa. Conservo un ricordo caro della città e di quel momento che ha rappresentato il mio primo lavoro».
Pierfrancesco Favino racconta con tenerezza al Centro un inizio carriera battezzato in Abruzzo. Da allora sono passati decenni e l’attore giovane di teatro è diventato uno degli attori italiani più bravi e amati, al cinema come in televisione, interprete camaleontico e talentoso richiesto anche da mega produzioni internazionali. Nella terra che lo ha visto muovere i primi passi in palcoscenico l’attore romano torna oggi pomeriggio per accompagnare all’Arca di Spoltore il film scritto e diretto da Andrea Di Stefano “L’ultima notte di Amore”, tesissimo poliziesco noir di cui è protagonista nel ruolo del poliziotto Franco Amore.
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Un servitore dello Stato prossimo alla pensione dopo 35 anni di servizio in cui non ha mai sparato ad alcuno, un uomo mite e onesto emigrato dal Sud in una Milano ora oscura attraversata dalla mala calabrese e cinese, un tutore dell’ordine che non ha fatto carriera perché la moglie Viviana (Linda Caridi) ha parenti imbarazzanti come il cugino Cosimo (Antonio Gerardi) dai traffici ambigui. Il film inizia dalla festa a sorpresa a casa di Amore la sera che precede l’ultimo giorno in servizio. E in quell’ultima notte da poliziotto, per strade in cui la luce del giorno sembra non arrivare mai, Amore vedrà in pericolo tutto: lavoro e pensione, l’amore per Viviana, l’amicizia col collega Dino (Francesco Di Leva), la sua stessa vita.
Favino, sta girando l’Italia insieme al film. Come sta andando? Molto bene, sia dal punto di vista dell’incasso che come gradimento del pubblico. Siamo molto contenti. In questo momento in cui c’è un po’ di sfiducia verso il cinema italiano è importante portare in sala un film di qualità per ricucire il rapporto col pubblico. È un film di genere di puro intrattenimento, che vuole offrire agli spettatori il piacere di stare due ore in sala.
Aveva già visto i precedenti film di Di Stefano “Escobar” e “The Informer”? Cosa l’ha colpita del suo cinema? Conosco Andrea da tempo, da quando era attore. Ho recitato nel 1997 nel film “Il principe di Homburg” di Bellocchio, in cui lui era protagonista. Poi ci siamo seguiti a distanza nei rispettivi percorsi artistici. Ho visto i suoi film appena usciti. Quando mi ha inviato la sceneggiatura di L’ultima notte di Amore l’ho subito letta e l’ho trovata bellissima. Mi piaceva fosse un polar (neologismo francese che unisce policier e noir, ndc), genere che abbiamo lasciato ad altre cinematografie. Ero felice che nel cinema italiano si tornasse a fare quel tipo di storie.
Di Stefano dice che lei ha la grazia di un James Stewart e l’intensità di un Benicio Del Toro, che aveva diretto in “Escobar”. Si riconosce nella definizione? No no, son troppe cose, troppi complimenti. È sempre il film a permettere a una performance attoriale di brillare e non il contrario, è il bel fim a rendere bravo l’interprete, non viceversa.
Cosa l’ha attratta di Amore? La sfida di rendere giustizia a un uomo comune. Era complicato interpretarlo senza renderlo troppo eroe o, all’opposto, immiserirlo. Amore è un uomo normale che si ritrova in una condizione eccezionale. E poi mi ha convinto il fatto che fosse un personaggio italiano. I nostri eroi sono quasi sempre degli sconfitti, che alla fine con un colpo di coda riescono a ribaltare le sorti della loro vita.
Il cuore del film è nelle sequenze notturne in tangenziale. Cos’ha pensato quando ha saputo che doveva correre con le auto che le sfrecciavano accanto a 100 all’ora? In alcune produzioni internazionali ho fatto cose anche più pericolose. Mi metto al servizio di quello che viene chiesto dal regista. Sapevo che quelle scene erano funzionali ad aumentare la tensione del film. Ogni dettaglio era stato accuratamente previsto e organizzato sul set, abbiamo girato in totale sicurezza.
Ha interpretato Bartali, Buscetta, Craxi e anche tanti uomini comuni. Più difficile confrontarsi con persone reali oppure costruire personaggi di fantasia? Non lo so. Importante è avere rispetto per le storie che si raccontano. Nel caso dei personaggi reali, questi sono preceduti dalla memoria collettiva di quella persona e forse tradire quella memoria è un rischio più grande. Ma non è detto. Nel caso di Amore, un poliziotto, è altrettanto difficile riuscire a non calpestare il rispetto verso un personaggio che è sì un uomo comune ma rappresenta anche le forze dell’ordine. Ma quello che conta per me è sempre la bellezza della sfida.
Sua moglie, l’attrice Anna Ferzetti, è figlia dell’indimenticabile Gabriele Ferzetti, che aveva origini atriane. Le sarebbe piaciuto recitare con lui? Ho avuto la fortuna di conoscerlo bene e ho goduto di cose che i colleghi che hanno recitato con lui non hanno potuto vivere, i momenti privati