I comunisti vincitori di Polchi «La lotteria farà la rivoluzione» 

Nostalgia di non sentirsi ingenuotti perché privi di quel cinismo che oggi pare indispensabile per “saper stare al mondo”, nostalgia di ideali semplici e condivisioni allegre, nostalgia di una...

Nostalgia di non sentirsi ingenuotti perché privi di quel cinismo che oggi pare indispensabile per “saper stare al mondo”, nostalgia di ideali semplici e condivisioni allegre, nostalgia di una piccola Italia che sa come si sta bene ad essere e sentirsi comunità. Pagina dopo pagina il lettore è invaso da una frizzante sensazione di leggerezza e nostalgia buona leggendo “I comunisti che vinsero la lotteria”, romanzo fresco di stampa per i tipi di Rizzoli (pp. 280, € 18) scritto da Vladimiro Polchi, (Roma, 1973) giornalista (scrive per la Repubblica, ma i suoi inizi assoluti sono al Centro, con uno stage di sei mesi ormai quasi venti anni fa che riuscirono a infiammare la latente passione per un mestiere che non accettava – sin da subito – potesse avere segreti per lui), autore televisivo (programmi di informazione in prima serata, come Ballarò, programmi culturali di Rai Tre come “Quante storie” con Corrado Augias con il quale ha lavorato spesso) e teatrale(da ultimo per lo Stabile di Genova).
Questo è il suo quinto libro, il secondo romanzo dopo tanta saggistica affollata di premi. Nel tempo libero Polchi «parla di mongolfiere e legge Rodari alla sua piccola belva», quel Valerio, il figlioletto, autore di deliziosi versi a punteggiare il romanzo.
Scrittura cinematografica che rende i picareschi personaggi immediatamente caratterizzati, plot robusto e senza sbavature, il libro racconta la rivoluzione portata da un biglietto milionario della lotteria che una beffarda dea bendata consegna nelle mani di un gruppo di vecchi compagni di sezione. «Una storia spassosa su un’Italia che avevamo dimenticato», si legge nella quarta di copertina. E che speriamo esista e resista, va aggiunto. I comunisti di Pietra Rosata, immaginario paesino del Sud, sono vecchie cortecce scavate dalla vita, allergici alle buone notizie e Ilario Morale, impiegato modello del ministero Affari Privati e Finanze Pubbliche, non può immaginare cosa lo aspetta. «Tanti milioni in mano a quei pazzi... Già so come andrà a finire. Festeggeranno per un paio di giorni, prometteranno di condividere il premio con i paesani. Poi tutto cambierà. E ciascuno penserà solo a sé». Ma il pensiero del burocrate capo metropolitano verrà smentito via via. In modo soprendente. A Pietra Rosata insomma, le cose andranno assai diversamente.
Polchi, come definirebbe “I comunisti che vinsero la lotteria”?
Una piccola favola per adulti. I giornalisti che scrivono romanzi mi hanno sempre convinto poco, ma ci sono cascato. Mi sono dedicato ai saggi, sui temi dell’immigrazione e della laicità a rischio in questo nostro Paese. Questo non è “tecnicamente” il mio primo romanzo, ma diciamo che nell’altro, “I camaleonti” (Piemme) mescolavo cose di cui mi ero occupato come giornalista.
E come nasce?
Nel dicembre del 2016 mi imbatto su Internet in un articolo di La Vanguardia, giornale spagnolo, che racconta la storia vera di Pçinos Puente, un paesino andaluso in provincia di Granata, dove c’è una sezione comunista con un manipolo di 80enni che comprano quote della lotteria El Gordo de Navidad e si ritrovano con una vincita di 56 milioni di euro. C’erano tutti gli ingredienti della storia: che succede in un paesino abbandonato dai giovani a dei vecchi vissuti di ideali e di amicizia? Prevale l’egoismo? Rimane il vincolo di amicizia? La felicità c’è se non è condivisa? I vecchi sono capaci di credere nei sogni? È difficile essere felice da solo. Insomma, ideali e idealità resistono ai soldi? Ho portato la storia vera in un immaginario paesino del Sud Italia e ho immaginato che potesse succedere.
La cronaca unica ispiratrice o anche autori e altri romanzi?
Ispirarsi non significa ritenersi all’altezza di grandi scrittori, posso dire che ho pensato a “Pian della tortilla” di Steinbeck, o a “Tre uomini in barca di Jerome K. Jerome. E la storia d’amore di Ninito è esplicitamente ispirata a “L’amore ai tempi del colera” di Marquez.
E poi tanto cinema, soprattutto commedia all’italiana, di ieri e di oggi...
Tanta commedia all’italiana sì, partendo da Guareschi e quel suo piccolo mondo fino e oltre Benvenuti al Sud, con i piccoli luoghi di provincia dove i legami sono ancora tali. Per un cittadino è un po’ un mito, chi vive nelle grandi città forse idealizza certi aspetti dei paesi, per questo lo definisco una favola. Io leggo a letto prima di dormire e mi piacciono libri come tranquillante, mi conciliano un sonno sereno. Volevo un libro che ti decongestiona e disintossica.
A chi ha mandato il manoscritto?
Questa è un’altra storia che mi piace. Ho scritto di getto le prime 20 pagine e con uno nome di fantasia, Valentino Delle Donne, le ho inviate a Rizzoli. A Michele Rossi, editor per la narrativa della casa editrice, è piaciuta l’idea e l’ha comprato con sole 20 pagine lette di uno sconosciuto: non pubblicavano al buio grazie al nome dell’autore, ma a prescindere da chi ha scritto, per la storia e come è scritta. Un atto di coraggio di questi tempi. Anche se è semplicemente come dovrebbe essere.
Il libro dà l’idea di poter diventare sceneggiatura di un film.
Sarebbe un sogno. Lo stanno leggendo. Se ti ispiri alla scrittura cinematografica mentre scrivi è un sogno che qualche regista poi prenda il libro e lo faccia suo.
E sognando sognando, quale regista vorrebbe che lo facesse suo?
Uno bravo a raccontare le commedie è Luca Miniero di Benvenuti a Sud. Lo vedo come commedia leggera e sono innamorato di Sydney Sibilia, che ha diretto “Smetto quando voglio”: per me è uno dei giovani registi che ha rivisitato in modo divertente, pieno di spunti e senza volgarità la commedia all’italiana.
Lei è impegnato come autore di “Quante storie”, condotto da Corrado Augias in onda alle 12.45 su su RaiTre che racconta l’Italia anche attraverso i libri. Come vede il nostro Paese?
Incupito, impaurito, impoverito, chiuso, alla continua ricerca di un nemico su cui sfogare paure legittime cavalcate da imprenditori della paura.
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