Il Casto divo a Pescara: «Io parlo e la gente ride spesso non so perché»
Il «Re del Porn Groove» al Massimo con “Non erano battute” «Non interagisco con il pubblico, lo ascolto e cambio tutto»
PESCARA. Un monologo «meta-comico», che mette al centro la comunicazione nella contemporaneità. Farà tappa anche a Pescara, “Non erano battute”, fortunato spettacolo di Immanuel Casto. Nato nella provincia di Bergamo nel 1983, al secolo Manuel Cuni, dopo un percorso di studi legato al teatro e alle arti visive, dà vita a Bologna, tra il 2003 e il 2004, al suo progetto musicale nelle vesti di Immanuel Casto. Un “cognome d’arte” in contrasto con la natura irriverente dei suoi testi. Cantautore, autore di card games di successo, attivista ed ex presidente del Mensa Italia, il “Casto Divo” sarà di scena al teatro Massimo domenica, 27 ottobre, alle 21 (organizzazione Best Eventi). «Vengo da una formazione teatrale», dice di sé, senza rinunciare all’ironia, «la carriera musicale è iniziata per gioco, facendo cose goliardiche, provocatorie. È interessante, tra l’altro: ci si mette a studiare per dedicarsi a una cosa e mentre se ne fa una più leggera, per scherzo, funziona prima quella».
Com’è nata l’idea dello spettacolo?
L’occasione si è presentata quando mi sono reso conto che il pubblico – che mi seguiva inizialmente per i miei contenuti – era interessato anche ai miei ragionamenti. Ho iniziato a portare altro tipo di contenuti – senza dimenticare il primo amore: la comicità –, unendo le cose in questa formula un po’ ibrida: qualcuno l’ha definita una via di mezzo tra stand-up e Ted Talk. Un Ted Talk di quasi due ore, con dei passaggi piuttosto impegnativi. Era la cosa che più mi preoccupava, questa sfida: il bilanciamento tra il serio e la mia comicità. È una comicità molto sottile, ma mi sono reso conto che funziona.
Lo ha definito uno spettacolo meta-comico. Che intende?
Si intitola “Non erano battute” perché è una frase che pronuncio spessissimo. La gente spesso ride per cose che dico, ma non erano battute, stavo solo facendo un commento. Però fa ridere, anche se faccio fatica a capirne il motivo. Parlo del mio rapporto con la comicità e di come grazie a essa, all’inizio della mia adolescenza, ho iniziato a legare con gli altri. Parlo di comicità e lo faccio in un modo che alle persone fa ridere. Per questo, l’ho definito meta-comico.
Uno spettacolo che spinge anche a riflessioni profonde…
Mi piace l’idea di salutare il pubblico con la sensazione di portarsi via qualcosa. Il macroargomento è la comunicazione, soprattutto in ambito relazionale. La cosa più importante è uscire da quella trappola mentale per cui noi pensiamo di interpretare gli altri sulla base della nostra psicologia o che tutti abbiano il nostro stile comunicativo.
Quanto c’è della sua vita?
Ho una naturale propensione a ragionare molto su ciò che mi succede. Attingo alla mia vita e da lì condivido delle riflessioni. Interagisco pochissimo con il pubblico per mia scelta, perché è una cosa che non amo, è un nobile “non fare agli altri ciò che io non vorrei fosse fatto a me”. Non c’è grande interazione ma c’è un ascolto, un ascolto anche mio delle reazioni in sala. Lo spettacolo cambia in base alle reazioni del pubblico. Se manifesta molto divertimento posso spingere l’acceleratore in una direzione, se sento che è più riflessivo e composto, lavorerò su altri concetti. La scaletta è fissa per quanto riguarda gli argomenti, la memoria è lo scheletro in una buona performance, ma ci si mette il sentimento del momento.
Cosa pensa della stand-up?
Non ne sono un grande fan. Sono andato a vedere spettacoli di stand-up comedy perché apprezzavo lo specifico performer, ma non andrei agli Open mic: amo seguire un percorso più strutturato. Sicuramente è una forma di intrattenimento verso la quale ho un grande rispetto, io non saprei farla in quel modo. Non amo quando la comicità diventa prevedibile, che è la stessa ragione per cui non mi è mai piaciuto l’umorismo del Bagaglino, perché sai su cosa si andrà a battere. Nel caso della stand-up, ci si adagia molto sul dire qualcosa di politicamente scorretto; io amo quel tipo di umorismo, gran parte della mia produzione ludica va in quella direzione, ma se so che lo devi fare per forza, pur ritenendolo artisticamente legittimo, è per me meno interessante. Preferisco qualcosa in grado di sorprendermi.
Ha lanciato un genere, il Porn Groove. Pensa di ricominciare a esibirsi con la musica nel prossimo futuro?
C’è l’idea di uscire con un disco già il prossimo anno. Ho lanciato il mio genere nel momento giusto, c’era MySpace ed ero considerato una web celebrity. Oggi è molto difficile farsi conoscere nel marasma di stili proposti. Non sono stato il primo artista ad avere contenuti espliciti, ma c’era una commistione tutta mia tra contenuti forti, estetica ricercata e un tipo di provocazione sottile, non incentrata sul dire pubblicamente le cose, ma sull'interpretare in prima persona ciò che volevo criticare. Questo ha funzionato.
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