Il Vate e la Duse divisi in scena dalla Figlia di Iorio
Federica Di Martino interpreta “Sono Furente” stasera ai Cantieri dell’Immaginario all’Aquila
L’AQUILA. La solitudine, le ingiurie della malattia e la consapevolezza di una relazione d'amore e d'arte ai titoli di coda. Quella stessa consapevolezza che spinse Eleonora Duse, ormai 46enne, a scrivere - tra il marzo e l'aprile del 1904 - delle lettere incandescenti a Gabriele D'Annunzio, anche per aver visto nascere un'opera senza poterla interpretare.
Parliamo della “Figlia di Iorio”, uno dei capolavori di D'Annunzio, composto nell'estate del 1903, proprio mentre era in vacanza con l'attrice. Di fatto, alla scrittura dell’opera, la Duse prese parte attiva, accompagnando l’autore durante la stesura e divorando le pagine appena scritte come prima e unica uditrice. La donna, pertanto, sentiva il ruolo della selvaggia Mila di Codra suo più di ogni altro. Tuttavia, la protagonista designata per il ruolo di Mila di Codra fu Irma Grammatica. La Duse infatti da qualche mese aveva problemi di salute che avrebbero ritardato il debutto ed era stata i ritenuta dal produttore troppo agée per la parte.
D’Annunzio era affettivamente latitante avendo già da qualche mese intrecciato una relazione con la bellissima e giovane Alessandra Di Rudini. Così, la sera del 3 marzo del 1904, mentre il mondo sanciva il successo indiscusso dell’opera chiamando Gabriele D’Annunzio in trionfo, in una stanza d’albergo a Genova si consumava il dramma umano di Eleonora Duse, doppiamente tradita: come attrice e come donna.
“Sono furente - La Figlia di Iorio mancata”, parte da qui. Da questa immagine lacerante prende vita una lettura-spettacolo, un omaggio al cuore dell’attrice, al cuore della donna, il cui sangue si fa inchiostro. Lo spettacolo di e con Federica Di Martino, ortonese, 46 anni, in scena questa sera, conduce lo spettatore nella stanza della grande attrice malata che stringe il suo copione e comincia furiosamente, febbrilmente a leggere dei brani dell’opera, mentre un'altra è sul palcoscenico a recitare la “sua” parte. Appuntamento alle 21.30 in piazza Duomo nell'ambito dei Cantieri dell'Immaginario. Sul palco anche il quintetto dei Solisti Aquilani: Federico Cardilli (violino), Matteo Pizzini (violino), Margherita Di Giovanni (viola), Giulio Ferretti (violoncello).
Proprio “La Figlia di Iorio”, nell'adattamento di Vincenzo Pirrotta, con le musiche di Antonio Vasta, in una produzione del Tsa (Teatro stabile d'Abruzzo), è andata in scena qualche giorno fa. Un ritorno nel capoluogo piuttosto significativo per la Di Martino. Il caso ha voluto che l'attrice ortonese si sia ritrovata a collaborare nuovamente con il Tsa in un momento simbolicamente importante per la comunità. «Rappresentai all'Aquila, all'indomani del sisma, “Scene da un matrimonio” di Ingmar Bergman», ricorda. «Con me c'era Daniele Pecci. Lavorammo a lungo insieme a Giorgio Iraggi (attuale direttore amministrativo dell'ente teatrale, ndr) a cui, tornando all'Aquila, ho ricordato le circostanze avverse di allora, adesso che invece bisogna fare i conti con la pandemia. In ogni caso, è sempre un piacere tornare in questa città, sempre viva malgrado le grandi tragedie subite».
Quest'opera si propone come un omaggio all'Abruzzo di D'Annunzio, ma il punto di vista è differente. «Dovrei omaggiare il Vate alla luce dello spirito di questa terra», racconta Federica Di Martino, «ma come donna mi sento di solidarizzare con la Duse, le cui lettere tradiscono tutta la fragilità, oltre a rivelare le sue ferite. Sono scritti bellissimi, si pensa siano state messe nero su bianco nelle ore notturne. Quella della Duse è una scrittura teatrale pura, legata probabilmente alla comunicazione verbale della donna. Eleonora scrive come parla, con le emozioni che si affollano tutte insieme nella sua mente: i fogli sono corpo fisico, su cui lei traccia ferisce incide parole dolcissime a tratti, a tratti amarissime, con cui chiede, rivendica, ricorda, implora».
Il ritratto della Duse prende spunto da qualche lettura? «Sicuramente», risponde Di Martino, «dai ricordi di Matilde Serao, coetanea dell'attrice e testimone delle sue tormentate vicende sentimentali: oltre a D'Annunzio, intraprese anche una difficile storia d'amore con Arrigo Boito».
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Parliamo della “Figlia di Iorio”, uno dei capolavori di D'Annunzio, composto nell'estate del 1903, proprio mentre era in vacanza con l'attrice. Di fatto, alla scrittura dell’opera, la Duse prese parte attiva, accompagnando l’autore durante la stesura e divorando le pagine appena scritte come prima e unica uditrice. La donna, pertanto, sentiva il ruolo della selvaggia Mila di Codra suo più di ogni altro. Tuttavia, la protagonista designata per il ruolo di Mila di Codra fu Irma Grammatica. La Duse infatti da qualche mese aveva problemi di salute che avrebbero ritardato il debutto ed era stata i ritenuta dal produttore troppo agée per la parte.
D’Annunzio era affettivamente latitante avendo già da qualche mese intrecciato una relazione con la bellissima e giovane Alessandra Di Rudini. Così, la sera del 3 marzo del 1904, mentre il mondo sanciva il successo indiscusso dell’opera chiamando Gabriele D’Annunzio in trionfo, in una stanza d’albergo a Genova si consumava il dramma umano di Eleonora Duse, doppiamente tradita: come attrice e come donna.
“Sono furente - La Figlia di Iorio mancata”, parte da qui. Da questa immagine lacerante prende vita una lettura-spettacolo, un omaggio al cuore dell’attrice, al cuore della donna, il cui sangue si fa inchiostro. Lo spettacolo di e con Federica Di Martino, ortonese, 46 anni, in scena questa sera, conduce lo spettatore nella stanza della grande attrice malata che stringe il suo copione e comincia furiosamente, febbrilmente a leggere dei brani dell’opera, mentre un'altra è sul palcoscenico a recitare la “sua” parte. Appuntamento alle 21.30 in piazza Duomo nell'ambito dei Cantieri dell'Immaginario. Sul palco anche il quintetto dei Solisti Aquilani: Federico Cardilli (violino), Matteo Pizzini (violino), Margherita Di Giovanni (viola), Giulio Ferretti (violoncello).
Proprio “La Figlia di Iorio”, nell'adattamento di Vincenzo Pirrotta, con le musiche di Antonio Vasta, in una produzione del Tsa (Teatro stabile d'Abruzzo), è andata in scena qualche giorno fa. Un ritorno nel capoluogo piuttosto significativo per la Di Martino. Il caso ha voluto che l'attrice ortonese si sia ritrovata a collaborare nuovamente con il Tsa in un momento simbolicamente importante per la comunità. «Rappresentai all'Aquila, all'indomani del sisma, “Scene da un matrimonio” di Ingmar Bergman», ricorda. «Con me c'era Daniele Pecci. Lavorammo a lungo insieme a Giorgio Iraggi (attuale direttore amministrativo dell'ente teatrale, ndr) a cui, tornando all'Aquila, ho ricordato le circostanze avverse di allora, adesso che invece bisogna fare i conti con la pandemia. In ogni caso, è sempre un piacere tornare in questa città, sempre viva malgrado le grandi tragedie subite».
Quest'opera si propone come un omaggio all'Abruzzo di D'Annunzio, ma il punto di vista è differente. «Dovrei omaggiare il Vate alla luce dello spirito di questa terra», racconta Federica Di Martino, «ma come donna mi sento di solidarizzare con la Duse, le cui lettere tradiscono tutta la fragilità, oltre a rivelare le sue ferite. Sono scritti bellissimi, si pensa siano state messe nero su bianco nelle ore notturne. Quella della Duse è una scrittura teatrale pura, legata probabilmente alla comunicazione verbale della donna. Eleonora scrive come parla, con le emozioni che si affollano tutte insieme nella sua mente: i fogli sono corpo fisico, su cui lei traccia ferisce incide parole dolcissime a tratti, a tratti amarissime, con cui chiede, rivendica, ricorda, implora».
Il ritratto della Duse prende spunto da qualche lettura? «Sicuramente», risponde Di Martino, «dai ricordi di Matilde Serao, coetanea dell'attrice e testimone delle sue tormentate vicende sentimentali: oltre a D'Annunzio, intraprese anche una difficile storia d'amore con Arrigo Boito».
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