Orsini e la “sua” Lidia Poët «eroina anticonformista»
Lo sceneggiatore teramano racconta la 2ª stagione della serie da oggi su Netflix «Non una biografia, ma un racconto di fantasia che però incarna le sue idee»
TERAMO. Il crime in costume “La legge di Lidia Poët 2” arriva oggi su Netflix, sei nuovi episodi della serie creata dal teramano Davide Orsini e dal napoletano Guido Iuculano, ai quali si è aggiunta in sceneggiatura Flaminia Gressi. Premiata un anno fa dal Nastro d’Argento – Grandi Serie e da un successo planetario, la prima stagione della fiction liberamente ispirata alla prima avvocata italiana ha appassionato gli abbonati della piattaforma con trame avvincenti, dialoghi brillanti, personaggi interessanti, a partire dalla protagonista interpretata da Matilda De Angelis, e con la confezione pop e ironica che sposa all’ambientazione d’epoca nella Torino fine '800 gli sgargianti costumi di Lidia e la musica rock e pop, secondo la tendenza inaugurata da Sofia Coppola con “Marie Antoinette” per attualizzare fiction collocate nel passato e trasformarne le eroine in icone popolari. Nella nuova stagione, presentata alla Festa del Cinema di Roma, tra le novità l’arrivo alla regia di Pippo Mezzapesa accanto a Letizia Lamartire e Matteo Rovere (produttore con Groenlandia) e un nuovo antagonista di Lidia, il procuratore Fourneau, interpretato da Gianmarco Saurino. Tornano Eduardo Scarpetta (il giornalista Jacopo Barberis), Pier Luigi Pasino (l’avvocato Enrico, fratello di Lidia), Sara Lazzaro (Teresa, moglie di Enrico), Sinéad Thornhill (Marianna, nipote di Lidia), Dario Aita (Andrea Caracciolo).
Orsini, com’è stata accolta la stagione 2 all’anteprima romana?
Molto bene, auditorium pieno, pubblico partecipe e da quel poco che abbiamo letto ci sembra ci sia un clima di entusiasmo. Stavolta abbiamo messo tanta carne al fuoco, abbiamo cercato di alzare l’asticella, c’è anche una trama orizzontale in più. La serie era andata molto bene nel mondo, seguita da un pubblico vasto, che speriamo si sia affezionato e sia pronto a seguire la seconda stagione.
Netflix ha reso noti i dati della prima stagione? Oltre all’Italia, in quale Paese la serie ha funzionato di più?
Nei report semestrali di Netflix sono dettagliati i click e le ore di visualizzazione, che danno il peso di quanto sia stata vista una serie. “Lidia” in un anno e mezzo, fino a metà 2024, ha sfondato i 100 milioni di ore da parte degli utenti e avuto 15 milioni di click. Quanto al gradimento non lo conosciamo con certezza, ma sappiamo di essere andati molto bene in Europa, nei Paesi culturalmente affini all’Italia. Ma è stato un successo uniforme, perché era un prodotto italiano riconoscibile ma con impronta internazionale.
Prima italiana a laurearsi in legge e a chiedere nel 1883 l’iscrizione all’Ordine degli avvocati, Lidia vede l’iscrizione annullata dalla Corte d’Appello di Torino. A fine prima stagione, rigettato in Cassazione il suo ricorso, l’abbiamo vista indecisa se partire o restare a Torino.
L’idea della seconda stagione era, partendo dal dilemma tra rifarsi una vita altrove o restare e lottare, di far prevalere la seconda opzione, perché Lidia è una lottatrice. Con Guido abbiamo pensato a come far avanzare le sue idee, dopo il fallimento della sua crociata solitaria, a come alzare le ambizioni sue e della serie. Erano gli anni dei primi tentativi di leggi contro le discriminazioni. La frase di Lidia “se la legge dice che non posso fare l’avvocata cambiamo la legge” ci è sembrata la sintesi perfetta per il personaggio e la sua lotta, per cercare di portare la sua battaglia nelle aule politiche. Resta il problema che Lidia ha bisogno di un uomo e allora manda avanti ancora il fratello Enrico, cercando di convincerlo a candidarsi alle elezioni del 1886 per entrare in Parlamento e presentare la legge che consenta alle donne di esercitare l’avvocatura. Grazie a questo tema ci siamo potuti permettere presenze di personaggi storici come Depretis, Lombroso, Costa, divertendoci a farli interagire con Lidia.
Pure nei nuovi episodi la vera Lidia resta uno spunto.
Ci tengo a ribadire che la serie non è una biografia su Lidia Poët, ma un racconto di fantasia che però incarna le sue idee. Nella serie parliamo anche delle altre forme di discriminazione di genere, dal voto al lavoro, e delle discriminazioni in relazione ai clienti che lei difende.
Papà da un anno e mezzo di Elena, la paternità le ha dato ulteriore consapevolezza su questi temi rispetto alla prima stagione, che aveva già un taglio femminista?
C’è una risposta più semplice. Lidia ci sembrava un simbolo di anticonformismo e di lotta, e questo vale per le donne e per altre categorie, come le persone lgbtq+. Lei è un’eroina di questo tipo, più che specificamente femminista. Con la sua ironia, che apparteneva anche alla Lidia Poët vera, la quale aveva una posizione critica sul voto alle donne e il suffragio universale, sostenendo che il primo strumento di emancipazione delle donne doveva essere l’istruzione, per un voto consapevole. La serie ha una componente femminista, ma incarna pure una tendenza presente nelle società in cui ci siano discriminazioni. Ricorda la vicenda del ddl Zan quella della proposta di legge di Poët: sembra che in Parlamento ci sia sempre qualcosa di più importante da discutere rispetto ai diritti civili, quindi sfruttiamo Lidia per raccontare il presente e non solo il gender gap.
Avete introdotto una linea orizzontale, con un caso seguito in tutti gli episodi. Di che si tratta?
Il primo caso di puntata è l’omicidio del giornalista Attila Brusaferro, caso che accompagna tutta la seconda stagione, una linea orizzontale che è una novità rispetto alla prima, in cui erano la battaglia di Lidia per esercitare l’avvocatura e il suo ricorso a snodarsi per tutti gli episodi. Stavolta abbiamo introdotto una trama investigativa più larga.
Ci sarà la terza stagione?
Chi lo sa, speriamo che il pubblico risponda, ora il destino della serie è nelle sue mani. Noi ci speriamo e intanto ragioniamo su come portare avanti la storia e le battaglie di Lidia.