Ovidio riabilitato, Roma revoca l’ingiusto esilio
L’Assemblea capitolina prende atto dell’assoluzione del poeta sulmonese in ben due gradi di giudizio che riconoscono il torto di Augusto: martedì il voto in Campidoglio
SULMONA. Riabilitazione di Ovidio martedì in Campidoglio. L’Assemblea capitolina revocherà il decreto con cui Augusto, nell'anno 17 d.C., relegò il grande poeta latino a Tomi, sul Mar Nero.
Alla cerimonia, fissata per il pomeriggio, parteciperanno delegazioni di studenti e insegnanti di vari licei di Roma e del Comune e del Polo liceale Ovidio di Sulmona. La città peligna non ha avuto mai dubbi sull'innocenza del suo figlio più illustre. Augusto l’aveva bandito da Roma senza un regolare processo. In base al Diritto romano la “relegatio” andava comminata a seguito di un pubblico processo e ratificata dal Senato. L’imperatore, invece, decise da solo. E si guardò bene dal revocare il decreto.
Così Ovidio morì da esule. Un destino analogo a quello di Dante. Sulmona, però, non si è data mai per vinta: la figura di Ovidio andava “riabilitata”. Il primo passo è stato quello di organizzare due processi: di primo grado, con insigni latinisti, nel 1967, e d’appello, nel 2011, con giuristi, che hanno dimostrato, oltre ogni ragionevole dubbio, che Publio Ovidio Nasone era innocente. Dunque aveva subito un grave torto da parte di Augusto. E a ripararlo poteva essere solo Roma, o meglio l'Assemblea capitolina, che rappresenta idealmente la continuità storica del Senato e del Popolo Romano.
Così il Comune di Sulmona il 16 marzo 2012 ha approvato all’unanimità una delibera con la quale veniva recepita la sentenza di assoluzione di Ovidio nel “processo d’appello” e la si è trasmessa al Comune di Roma perché revocasse il decreto imperiale. Delibera rimasta, purtroppo, nel cassetto. A tirarla fuori, e di ciò bisogna rendergli merito, è stato il presidente dell’Assemblea capitolina, Marcello De Vito.
Così Sulmona, finalmente, potrà vedere realizzato il suo grande sogno: la “riabilitazione” di Ovidio. L'Assemblea approverà, si presume all’unanimità, una mozione a firma di Eleonora Guadagno, del gruppo Cinque Stelle. «Con il presente atto», vi si legge, «oltre a rendere giustizia a Ovidio, si intendono rinsaldare i legali con la comunità di Sulmona, anche attraverso la promozione di iniziative culturali che possano intensificare, nel nome di Ovidio, lo scambio di conoscenze tra le giovani generazioni».
«Abbiamo perseguito con fervore il coinvolgimento attivo di Roma Capitale nelle celebrazioni del Bimillenario della morte di Ovidio», dichiara Annamaria Casini, sindaca di Sulmona, «e uno dei punti fondamentali era proprio il riconoscimento della sentenza di assoluzione del nostro Sommo poeta. È per noi motivo di orgoglio che l’Assemblea capitolina abbia recepito gli atti della sentenza del secondo processo a Ovidio, celebrato nel 2011. In questi mesi abbiamo sempre ripetuto che Ovidio non sia solo di Sulmona, sua patria, ma anche di Roma, in cui visse, di Ovidiu e di Costanza, territori romeni che lo accolsero in esilio fino alla morte. Ed è per questo che sono convinta del fatto che le celebrazioni nel segno di Ovidio debbano continuare ad incrociarsi tra Paesi, facendo leva sulla cultura che unisce e sulla figura del poeta che, a duemila anni dalla sua morte, conserva ancora il suo fascino».
Accoglie «con soddisfazione» la mozione di revoca del decreto di Augusto la dirigente del Polo Liceale Ovidio di Sulmona, la professoressa Caterina Fantauzzi, che non può fare a meno di ricordare l’impegno profuso da insigni latinisti, associazioni culturali, esponenti delle istituzioni, per ottenere la “riabilitazione” di Ovidio: l'Accademia Cateriniana, don Giovanni Chiavaroli, il professor Nicolae Lascu, dell’università di Cluy, il compianto preside Ilio Di Iorio, Antonio Di Cioccio, editore degli atti del primo processo; il Rotary Club, Fabricacultura, il dottor Carlo Bianchi e il professor Giuseppe Martocchia.
«A distanza di duemila anni», si chiede la professoressa Fantauzzi, «ha senso celebrare un processo a Ovidio? Ha senso reclamare la revoca del decreto di Augusto? Sicuramente sì, perché il poeta ci tramanda tutto il peso di quell'ingiustizia. Un peso che non deriva solo dalla perdita dei privilegi e degli affetti, ma che lo colpisce come uomo e come poeta. Questa è la ragione per la quale i suoi concittadini, da generazioni, hanno sentito la responsabilità morale della sua simbolica riabilitazione».