“Potere e responsabilità” l’avvocato Balestra affronta i nuovi profili della giustizia

15 Ottobre 2024

Pubblichiamo lo stralcio del saggio sulla figura del magistrato oggi sulla spettacolarizzazione dei processi e il ruolo dell’informazione 

L’assoluta «sproporzione tra le pressanti esigenze di giustizia e le umane possibilità di realizzarla». Una riflessione sulla giustizia, su quello che accade al suo interno e con un riferimento costante alla figura del magistrato e al suo ruolo mutato radicalmente rispetto al passato. Luigi Balestra, professore di Diritto civile, traccia la figura del magistrato in un efficace pamphlet di recente pubblicazione per Rubbettino Editore, “Potere e responsabilità: la figura del magistrato”, saggio che mira al cuore della Giustizia, «contro l’autoreferenzialità», si interroga sui temi di reclutamento e i percorsi di formazione di donne e uomini a cui viene “confidata”. Per gentile concessione dell’Autore pubblichiamo di seguito un capitolo del volume su un tema particolarmente discusso e che tocca l’informazione.

La giustizia celebrata fuori dalle aule giudiziarie.
«I processi somigliano talmente alle commedie, che spesso si son viste nei teatri commedie costituite per intero, dal primo all’ultimo atto, dalla fedele riproduzione di un dibattimento giudiziario: il pubblico che va a assistere ai processi ha lo stesso animo svagato di chi va al teatro, e lo stesso animo avrebbe ugualmente se domani in piazza ci fosse il carnefice a torturare e a impiccare»
L’inarrestabile spettacolarizzazione della giustizia ha messo a nudo una serie di nodi dilemmatici e, al tempo stesso, acuito i pericoli che si annidano in un processo celebrato al di fuori del reticolato concepito al fine di dar vita a un itinerario capace di salvaguardare, in un’ottica di equilibrata composizione, i molteplici – e confliggenti – interessi che al riguardo si agitano.
Le regole del processo «sono fatte non per esaltare, ma per spegnere, per sterilizzare la drammaticità extraprocessuale della vicenda e farne emergere gli aspetti esclusivamente giuridici» . Imparzialità, indipendenza, oggettività, terzietà, presunzione di innocenza, diritto di difesa, patrimonio reputazionale, tutela dell’intimità della vita privata e familiare, sono alcuni dei fondamentali valori oggigiorno più che mai in gioco, per non dire in pericolo. Non v’è bisogno di occhi esperti per recensire la dilagante tendenza dei media ad inseguire tutto quel che può connotarsi in termini di sensazionale, utilizzando strumentalmente la cronaca (attraverso l’invocazione della copertura del relativo diritto così come costituzionalmente sancito) per proporre al pubblico trasmissioni la cui finalità dissimulata è lo spettacolo . La notizia piegata nelle mani di abili intrattenitori, è in grado – ancor più quando dotata già ex se, a cagione della forte virulenza dell’accadimento, di capacità impattante nell’immaginario collettivo – di destare quella morbosa curiosità su cui si gioca un’accesa competizione sul piano mediatico. Essa è inoltre idonea a favorire sentimenti collettivi di rivalsa che in non poche occasioni della nostra storia repubblicana hanno condotto a forme di assetato giustizialismo, totalmente obliteratrici dei valori fondamentali posti alla base di un efficiente sistema processuale.
Il meccanismo mediatico – nel perseguire preminenti obiettivi in termini di audience e di profit – si presta a fomentare una generalizzata richiesta di punizione; e ciò in base alla mera narrazione, in sede di cronaca, di fatti qualificati in partenza, a prescindere da ogni accertamento nella sede sua propria, illeciti. Quando poi, al termine dell’iter giudiziario, i giudici pervengano a una sentenza di assoluzione – o anche di semplice attenuazione della pena – un nuovo spettacolo si fa largo.
A calcare la scena sono le reazioni isteriche e scomposte di chi avanza doglianze nei confronti dell’operato dell’autorità giudiziaria, colpevole per non aver rispettato il verdetto pronunciato fuori dalla sede sua propria. Il tutto, combinato con l’umana vanità dell’apparire, coltivata anche nella forma della ricerca della semplice eco giornalistica da parte di chi a vario titolo risulta coinvolto in vicende giudiziarie, sta ormai da tempo alterando le ordinarie dinamiche che dovrebbero lumeggiare la corretta amministrazione della giustizia. Il pernicioso crinale lungo il quale si agitano un borioso amor proprio, accompagnato alle lusinghe del mostrarsi, spinge non pochi protagonisti delle vicende umane ad abbandonare il naturale proscenio nell’àmbito del quale i fatti integranti l’illecito sono destinati ad esser valutati, sedotti dalla (pseudo) notorietà che l’ingresso nell’agorà pubblica può innescare.
Viene così a determinarsi un vortice, grazie alla potenza amplificatrice dei mezzi di comunicazione, in cui le pur variegate tutele apprestate dall’ordinamento in termini di segretezza, di tutela della vita privata e familiare, nonché della reputazione, sono destinate a trasformarsi in un vuoto simulacro.
Le figure dell’indagato e dell’imputato – e, più in generale, dell’additato colpevole – si ritrovano irrimediabilmente ad essere castigate – in barba a serie di valori cardini da cui si vorrebbe alimentato il sistema, primo fra tutti la presunzione di innocenza – da un circolo mediatico sobillato, al di fuori di qualsivoglia elementare forma di garanzia e di tutela, da passaggi sotterranei di notizie, da inattendibili ricostruzioni fattuali, da sbalorditive «testimonianze» con le quali si cerca di scandagliare il vissuto con patologica curiosità.
Tutto è «corrotto» dalla ricerca del sensazionale, di modo che la verità – sempre difficile da ricostruire nelle stesse aule giudiziarie – viene relegata ai margini dell’analisi. Attraverso artefatte riproduzioni, viziate all’origine dall’obiettivo di condire in termini più grassi possibili una pietanza dall’aspetto succulento e così creare un morboso coinvolgimento del pubblico, la realtà degli accadimenti risulta in definitiva colorata da distorsive mistificazioni.
I casi dell’avviso di garanzia mediatico, in cui l’indagato ne apprende l’esistenza per il tramite dei mezzi di comunicazione, mossi dalla finalità di catapultarlo in un circo spettacolare capace di annichilire chiunque, sono emblematicamente rappresentativi del corto circuito che spesso viene a determinarsi. Un atto concepito a garanzia dell’indagato – in una prospettiva che non può essere se non quella della presunzione di innocenza (il che è ancor più vero se si presta fede al considerevole numero di archiviazioni o di assoluzioni) – è stato ormai da tempo trasformato dai canali della comunicazione in un immediato atto di colpevolezza che, indipendentemente da quel che sarà il naturale esito nella sede giudiziaria, marchia inesorabilmente il destinatario. La riflessione sul potente ruolo dei media al cospetto della cronaca giudiziaria da tempo genera preoccupazione e disagio per le profonde alterazioni a cui è andato incontro l’apparato giudiziario. In un volume di recente pubblicazione Vittorio Manes recensisce una serie fenomeni calcando la mano su smanie di protagonismo, forme di responsabilità collettiva a detrimento della personalizzazione degli addebiti, vocazione – giusta una critica ricorrente di cui si dà conto in queste pagine – alla moralizzazione. Un tourbillon in cui si fa fatica a credere che i giudici possano fuoriuscire immuni da un (seppur alle volte solo strisciante) condizionamento. A farne le spese le plurime garanzie poste a presidio di una corretta irrogazione della sanzione penale (tipicità, offensività, personalità, colpevolezza, funzione rieducativa della pena). La celebrazione dei processi fuori delle aule giudiziarie stravolge l’equilibrio – per vero in non poche fasi precario – sul quale il sistema si regge. L’indagato/imputato è chiamato così ad incarnare – secondo logiche di vere e propria sottomissione contra voluntatem – le vesti di vittima nello spettacolo. Con effetti devastanti, soprattutto quando questi possa vantare, in ragione dell’attività svolta e dell’esperienza maturata, stima e reputazione nel contesto di riferimento.
La sovraesposizione mediatica decreta – senza che all’orizzonte possa ancora lontanamente profilarsi un provvedimento definitivo di condanna – un’immediata disgregazione del patrimonio morale, che nessun futuro (ed eventuale) provvedimento favorevole avrà mai la forza di ripristinare.