Los Angeles

Produzioni troppo costose, il cinema lascia Hollywood

27 Aprile 2025

Sono molti gli studi che hanno trasferito i set in Paesi fiscalmente più appetibili. La Georgia nuova terra promessa, in California corsa ai ripari con la tax credit

LOS ANGELES. Poco più di dieci anni fa il crollo che trasformò la città di Detroit, ex leader del settore automobilistico in America, in una distesa di case vuote e strade abbandonate, schiacciata da un debito che superava i 20 miliardi e che ha brutalizzato i sogni di gloria di una città che alla fine degli anni ’50 contava circa 2 milioni di abitanti e che adesso è la casa di meno di 650mila anime. Oggi la California rischia di cadere nella stessa spirale. Il convitato di pietra è la crisi dell’industria cinematografica, non soltanto un problema per addetti ai lavori (come lo è invece in molte altre parti del mondo, Italia compresa) ma il collasso del cuore pulsante della capitale dell’intrattenimento a stelle e strisce, Hollywood.

Intere famiglie della classe media vivono grazie all’industria che ogni anno produce migliaia di film e serie tv da distribuire in territorio americano e nel resto del mondo, al cinema, in televisione e sulle piattaforme di streaming. Dobbiamo quindi spostare lo sguardo dall’olimpo delle stelle dei kolossal a chi film e serie tv fisicamente li realizza: operatori di ripresa, fonici, assistenti, cameramen e tecnici delle luci, ma anche scenografi, costumisti, truccatori. Ecco un dato che racconta meglio delle parole la fuga a gambe levate degli Studios: il primo quadrimestre del 2025 ha segnato un calo delle produzioni del 22% rispetto al primo quadrimestre dello scorso anno. Negli ultimi anni, con l'aumento del costo del lavoro e dopo il coronavirus e due scioperi consecutivi, molti produttori sono fuggiti via da Los Angeles per girare in location all'estero (sempre in America, il più delle volte, ma in altri Stati) dove i costi di produzione (e di vita) sono di gran lunga più bassi.

Un documento di bilancio consultato e diffuso dal New York Times ha mostrato come il costo di una squadra di sette persone addette alle operazioni sul set (i macchinisti, insomma), a Budapest ammontasse a circa 59.000 dollari per 30 giorni di riprese, mentre un solo macchinista attivo su un set a Los Angeles (tra spese sanitarie, pensionistiche e altri costi) per lo stesso periodo di tempo arrivava a costare fino a circa 53.000 dollari.

Inoltre, molti Stati hanno promosso manovre da oltre 25 miliardi destinati interamente alle produzioni audiovisive, e c’è il caso isolato della Georgia che a questi finanziamenti non ha posto un tetto, creando un moderno hub di produzione cinematografica che sfida la California e promette di diventare il nuovo punto di riferimento per le prossime generazioni di artisti e cineasti americani. È sempre il New York Times a notare come grandi successi degli ultimi anni di casa Marvel (per esempio) siano stati prodotti interamente al di fuori del macrocosmo hollywoodiano, approfittando degli incentivi vantaggiosi di paesi come il Messico, l’Ungheria e anche l’Italia.

Intanto, due commissioni del Parlamento di Sacramento, in California, lavorano per rendere il Paese più appetibile fiscalmente. I progetti di legge messi sul tavolo negli ultimi mesi prevedono, in buona sostanza, un incremento nel tax credit che passerebbe dall’attuale 20% delle spese sostenute per i costi di produzione al 35%, più un 5% “jolly” che può concedere la California Film Commission a sua discrezione. Il tetto degli incentivi statali si alza da 330 milioni a 750, per anno (sarebbe il tetto più alto negli Usa dopo la Georgia). E per le strade infiamma la polemica: «Se si ferma Hollywood, Los Angeles diventa uno spettro», grida Noelle Stehman, una delle organizzatrici della campagna Stay in La che ha ricevuto l'endorsement star del cinema (Kevin Bacon, Ben Affleck, Keanu Reeves) e delle migliaia di maestranze che appartengono all’industria.