«Quando Fellini dava i numeri da recitare ai suoi attori»

28 Gennaio 2020

Lo storico pescarese del doppiaggio Gerardo Di Cola racconta il grande regista «In sala di sincronizzazione riscriveva i dialoghi dei film per essere più libero» 

Attori che recitavano numeri, altri che declamavano menù dei loro ristoranti, altri ancora che interpretavano dialoghi di commedie che nulla avevano a che fare con la storia del film. Ad ascoltare l’audio originale delle riprese, i set dei film di Federico Fellini erano ancora più surreali delle storie raccontate dal regista di cui ricorrono, nel 2020, i cento anni dalla nascita. Il bric-à-brac sonoro di quei capolavori del cinema veniva poi ricucito in sala di doppiaggio. Il rapporto fra il doppiaggio e il grande regista di film come La dolce vita e Amarcord è stato ricostruito in un documentatissimo libro di Gerardo Di Cola, intitolato “Federico Fellini e il doppiaggio” pubblicato da Edicola editrice di Chieti nel 2018 e vincitore del Premio di saggistica Equilibri a Cava dei Tirreni. Pescarese, massimo storico italiano del doppiaggio, Di Cola racconta in questa intervista al Centro l’affascinante rapporto che Fellini intratteneva con il doppiaggio dei suoi film.
Che rapporto aveva Fellini con il doppiaggio?
Un rapporto di totale dipendenza. Considerava il doppiaggio l’ultima, importantissima, fase della produzione filmica; una fase in cui lui riusciva anche a stravolgere il film dando ancora spazio alla sua creatività. In sala di doppiaggio spesso ricreava le battute del copione.
Perché?
Non voleva essere condizionato da una partitura già scritta. Aveva bisogno di estrema libertà, per dare completamente sfogo alla sua inarrestabile fantasia.
In che modo il doppiaggio influiva sui dialoghi definitivi dei suoi film?
Non c’era un copione fisso. Lui, la notte, abbozzava uno scritto e i doppiatori dovevano leggere quelle battute. Però, a volte, in sala di sincronizzazione, si accorgeva che c’era uno scollamento fra le immagini proiettate sullo schermo, i volti degli attori, e quello che aveva scritto per il doppiaggio.
A quel punto che cosa faceva?
Riscriveva le battute lì, in sala di doppiaggio. I rapporti con i direttori di doppiaggio non erano sempre semplici. Mario Maldesi, che era il più importante direttore, mi raccontò ciò che accadeva quando Fellini voleva un certo doppiatore e il direttore ne preferiva un altro.
Cosa accadeva?
Succedeva quel che accadde allo stesso Maldesi durante il doppiaggio del Casanova. Fellini gli fece capire che non era più gradito. E Maldesi lasciò la sala su invito di Fellini che gli disse: «Senti, Mario, perché non vai a farti una partita di tennis?». Mario lasciò perdere e se ne andò».
Fellini aveva delle preferenze fra i doppiatori?
Certamente. Lui ha sempre sostenuto di poter doppiare un film con cinque o al massimo dieci doppiatori; e questo per film in cui c’erano fino a 150 attori. Lui si affidava alle capacità camaleontiche di un gruppo di doppiatori, ciascuno dei quali faceva anche venti voci diverse. Erano doppiatori come Elio Pandolfi, Oreste Lionello, Solvay D’Assunta, Renato Cortesi.
Perché questa scelta?
Perché voleva essere libero di poter far corrispondere la voce del doppiatore con il volto dell’attore. Sul set, spesso gli attori recitavano numeri: uno, due, tre, cinquanta. Lui poi ci appiccicava sopra il dialogo recitato dai doppiatori, che al momento delle riprese lui, a volte, non aveva ancora immaginato.
C’è qualche storia che illustri bene questo metodo?
C’è una storia che riguarda il suo Satyricon. Salvo Randone interpretava il suolo di un poeta Eumolpo, mentre quello di Trimalcione era interpretato da un oste romano, Mario Romagnoli, più noto come “il Moro”, che non aveva mai recitato. Sul set Fellini dice a Romagnoli: “Mario, conta, recita i numeri”. Ma quello non ci riesce. Allora si offre di recitare il menù del suo ristorante. E così fu. Salvo Randone, invece, grande attore di teatro, recitò alcune parti di una commedia di Pirandello che stava provando. A Fellini non sembrava vero, era felicissimo. Poi, pensate un po’, fece doppiare Randone da Renato Turi, cioé la voce italiana di Walter Matthau.
Se fosse vivo oggi, Fellini girerebbe i suoi film in presa diretta come fanno tutti?
Neanche per sogno. Lui ha detto: «Per me il sistema italiano di doppiaggio è perfetto. Se non ci fosse stato il doppiaggio l’avrei inventato io, per avere un migliore controllo e per essere sicuro che le facce che ho scelto abbiano la voce giusta».
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