Sala d’attesa: quattro vittime tra omertà, botte e carnefici
Per la Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne a Pescara spettacolo di teatro sociale con testimonial l’attrice Eva Grimaldi
PESCARA . Le voci di quattro donne raccontano altrettanti aspetti del dramma della violenza di genere: omertà, ostaggio, botte, coma. Sono i temi intorno ai quali ruota “La sala d’attesa” di Stefania De Ruvo, spettacolo teatrale che va in scena questa sera all’auditorium Flaiano di Pescara, nell’ambito delle iniziative organizzate dal Comune per la Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. La pièce viene allestita nell’ambito di “Quello che le donne non dicono”, evento curato dall’associazione culturale Officina teatrale – La Torre di Babele del direttore artistico Michele Di Mauro e moderato dalla giornalista Alessandra Renzetti. All’iniziativa, che prende il via alle 20.30 nell’auditorium di lungomare Cristoforo Colombo, partecipa tra gli altri, come testimonial, l’attrice Eva Grimaldi, volto noto dello spettacolo per una carriera che va dalle partecipazioni a “Drive in” e al “Grande fratello vip” a film diretti da Dino Risi o Mario Monicelli. Inoltre durante la serata vengono assegnati, da parte dell’assessore comunale Politiche sociali Adelchi Sulpizio, riconoscimenti ad associazioni che si sono distinte nell’assistenza e il supporto a donne vittime di violenza: la Fondazione Anffas Pescara rappresentata dalla presidente Maria Pia Di Sabatino e la cooperativa Il Germoglio di Aida Marino.
A tradurre nel linguaggio del teatro il dramma della violenza di genere sono poi i dialoghi e i monologhi di “La sala d’attesa”, pièce prodotta nel 2018, che ruota intorno a un gruppo eterogeneo di donne. In questa sala Lina Bartolozzi, Denise De Luca, Rita De Bonis e Martina D’Addazio interpretano quattro vittime della violenza degli uomini che arriva all’estrema conseguenza: la morte. Tra omertà, segregazione, botte e coma restano nel limbo fino alla presa di coscienza e all’attribuzione della colpa all’uomo-carnefice. Una presa di coscienza che si concretizza attraverso il ritrovamento della memoria, assente dal vissuto di ognuna per pochi giorni o interi anni. L’uscita dalla sala d’attesa è il simbolo della liberazione dal senso di colpa e di responsabilità che imprigiona chi subisce violenza, drammatico epilogo di una relazione inizialmente felice e poi degenerata. Nella sala d’attesa nessuna di queste donne che ricorda e racconta ha un nome: una scelta voluta per incentivare il processo di immedesimazione e meglio rappresentare il senso di smarrimento subito con la violenza. Solo l’uscita dal limbo della sala consente alle donne di tornare in possesso del proprio nome, in un finale che è uno spiraglio di speranza che queste tragedie possano scomparire.