Saverio Raimondo,  un elettore riluttante tra paradossi e ironia 

Nel libro la ricetta del comico per sopravvivere alla politica Questa sera la presentazione-spettacolo allo Spazio Matta

PESCARA. «Diceva Groucho Marx che non avrebbe mai voluto far parte di un club che lo accettasse tra i suoi soci. E io, parafrasando, le sue parole, non farei mai parte di un sistema democratico che accetti me fra i suoi elettori». Saverio Raimondo motiva così il suo sguardo alla politica negli ultimi venti anni, attraverso gli occhi di un elettore distratto, sempre più (auto)critico verso sé stesso, l’elettorato. Ne nasce un libro di satira politica che invece di mettere al centro le critiche verso la classe dirigente, concentra il suo sguardo verso chi, penna e scheda alla mano, la porta al potere. Ecco Memorie di un elettore riluttante (Feltrinelli) che verrà presentato questa sera (ore 21) allo Spazio Matta nell'ambito del Fla Festival di Libri e Altrecose.
Da sempre è attento all'evoluzione del sistema democratico, così come racconta il suo libro. L'ascesa del populismo, fino all'esito delle ultime consultazioni. Di qui il quesito di fondo del volume. «Come posso io, semplice elettore, sabotare dall’interno questo sistema votato al disastro?». È così che Saverio avanza la proposta di una riforma elettorale rivoluzionaria: democraticizziamo l’elettorato, votandolo. Perché «se la democrazia è governo del popolo, non è vera democrazia se non puoi scegliere da quale popolo farti governare». Con ironia e paradossi Raimondo sovverte luoghi comuni e verità acquisite per riflettere in modo anticonvenzionale, dissacrante e divertente sui diritti e i doveri del popolo sovrano, e sul senso profondo della democrazia. Classe 1984, ha esordito giovanissimo come autore televisivo, lavorando poi in tv, alla radio e online. Con Feltrinelli ha anche pubblicato Stiamo calmi. Come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la mia ansia (2018).
Raimondo, il suo libro appare piuttosto attuale in un momento dove non è difficile trovare persone che esprimono il proprio voto con riluttanza, cercando di mettere la crocetta sul "meno peggio".
Anche quello rappresenta un lavoro da non sottovalutare: si va alle urne, si constata che c'è grande astensionismo e si punta il dito su quel 40% che ha rinunciato al proprio diritto. A me però preoccupano le scelte di quel 60%, perché quello poi determina la composizione del Parlamento. Quanti sono andati alle urne con la giusta consapevolezza e la giusta competenza? Quanti si sono informati a dovere?
C'è da dire che oggi si fanno i conti con un flusso di informazioni enorme e difficile da gestire, in ogni campo, dalla guerra al covid. Lei, ad esempio, in tv ha fatto ironia sui no vax. Pur da vaccinato, non mi sento di puntare il dito su chi ha fatto una scelta diversa, di fronte all'infodemia degli ultimi due anni.
In quel caso, oltre all'eccesso di informazione abbiamo anche avuto un eccesso di retorica, specie nel primo periodo, quello dei lockdown dove giravano frasi improbabili come "distanti ma uniti", o ci si credeva virtuosi per essere rimasti sul divano a vedere Netflix, che pure era la cosa giusta da fare. Ma la retorica distorce la verità e ci fa entrare in un racconto dove ci sentiamo trattati come imbecilli. Bisognava dire che il vaccino era la cosa giusta da fare. Ma qui in Italia sembra che si debbano fare sempre due fazioni per tutto.
Del resto, tornando al discorso politico, è celebre il passaggio in cui Ennio Flaiano fece sue le parole di Mino Maccari, «in Italia i fascisti si dividono in due categorie: i fascisti e gli antifascisti.
Sempre colpa della retorica, in primis quella del Fascismo, caratteristica originaria naturale. Poi quella dell'anti-fascismo, sviluppatasi negli anni.