ABRUZZO
All'Aquila il primo intervento in Abruzzo contro il Parkinson
Adottata nell'ospedale San Salvatore nuova tecnica neurochirurgica per attenuare gli effetti del morbo. Impiantati elettrodi nel cervello di un paziente di 66 anni. Il primario Ricci: possiamo migliorare la qualità della vita
L’AQUILA. La Neurochirurgia contro gli effetti del morbo di Parkinson. La Asl dell'Aquila ha annunciato che è stato realizzato nell'ospedale San Salvatore il primo intervento di questo tipo in Abruzzo. E che le caratteristiche della nuova tecnica vengono illustrate domani, mercoledì 24 aprile. Si chiama Dbs (Deep Brain Stimulation) ed è la procedura chirurgica più moderna finalizzata alla stimolazione cerebrale profonda. La tecnica è stata utilizzata su un paziente aquilano di 66 anni affetto da anni dalla malattia. All'intervento viene data grande importanza, tanto che alla presentazione sono previsti gli interventi fra gli altri, del direttore generale facente funzione della Asl,Simonetta Santini, del sindaco dell’Aquila, Pierluigi Biondi, dell’assessore regionale al Bilancio Guido Liris e del direttore del reparto di neurochirurgia, Alessandro Ricci.
Al San Salvatore dell'Aquila vengono già erogati dei trattamenti innovativi, basati sostanzialmente sull’emissione di impulsi elettrici, che migliorano sensibilmente le funzioni motorie di chi è affetto da Parkinson ed epilessia. Nuove procedure che trattano il sintomo e non le cause delle patologie e per questo si parla di neurochirurgia funzionale. Quest’ultima ha infatti come finalità la correzione di una funzione alterata del sistema nervoso, indipendentemente dal motivo che ne è all’origine.
Il paziente sottoposto a Dbs, come sottolinea il primario di Neurochirurgia Alessandro Ricci, ha avuto «un netto miglioramento della qualità della vita». Si tratta di un intervento chirurgico «che consiste nell'impiantare elettrodi nel cervello che sono collegati ad un generatore in grado di dare impulsi, una sorta di pacemaker, che viene attivato e programmato in base alla riposta del paziente - spiega ancora Ricci. Il neurochirurgo sottolinea che è un intervento reso possibile «grazie ad un certosino e complesso lavoro di equipe, visto che coinvolge il neurologo, che seleziona il malato, il radiologo che diagnostica il quadro, ma soprattutto fa gli esami che saranno utilizzati per impiantare gli elettrodi, lo psichiatra che valuta in quali pazienti si può attuare la procedura e anche il neurofisiopatologo che legge le tracce durante la stimolazione e stabilisce se gli elettrodi sono stati posizionati correttamente in base alla risposta. E naturalmente l'anestista e il neochirurgo«. «È un processo impegnativo per selezionare pazienti e verificare poi la procedura e l'assistenza successiva - chiarisce ancora Ricci -, ma i risultato è davvero importante, in tal senso ringrazio i miei colleghi che hanno permesso di toccare questo grande traguardo».