Amleto Cencioni Serenità e amore per la propria terra
L’AQUILA. Serenità e amore per la propria terra, sono due sensazioni che i quadri di Amleto Cencioni trasmettono a chi li osserva. In esposizione fino al 2 giugno, presso il palazzetto del Nobili, “L'...
L’AQUILA. Serenità e amore per la propria terra, sono due sensazioni che i quadri di Amleto Cencioni trasmettono a chi li osserva. In esposizione fino al 2 giugno, presso il palazzetto del Nobili, “L'Aquila bella” è la mostra di circa 30 opere del pittore nato a L’Aquila che la critica contemporanea definì “Maestro del Paesaggio Abruzzese”. Nato nel 1906 e scomparso nel 1994 Amleto Cencioni ha lasciato un’eredità preziosa alla città, con i suoi quadri in cui la luce è data dal sapiente uso del colore, dove il tratto restituisce la bellezza della semplicità dei paesi dell’Aquilano. La mostra, ideata e organizzata dagli eredi del pittore e dall’“Associazione Arti visive e del Restauro Amleto Cencioni” è una rassegna di opere recuperate dopo il terremoto del 2009, tra le macerie della casa di Giuseppe Cencioni, figlio di Amleto, in via Roma e nello studio che fu di Amleto in via Coppito. Parte delle opere arriva invece da un deposito sotterraneo che le ha salvaguardate. È un vero atto d’amore per la propria terra la pittura di Cencioni, ci sono scorci di Pescocostanzo, Roio, Paganica, e L’Aquila, in tutti domina un colore che rimanda al calore della terra natale, senza malinconia, ma come momento di amore nell’atto del dipingere. L’arte di Cencioni si gioca sull’effetto luministico, sulla forza di contrasti, sulle luci e le ombre, e non è mai acerba improvvisazione, ma lunga elaborazione interiore. Nel 1944 Amleto Cencioni, insieme allo scultore Pio Iorio la cui statua di Cencioni è in mostra anch’essa al Palazzetto dei Nobili, e insieme ad altri dieci artisti, allestirono una mostra al Teatro comunale dell'Aquila, certi che la cultura poteva ridare slancio alla vita cittadina, e che solo la bellezza dell'arte poteva sollevare chi aveva attraversato il dramma della guerra. Con la stessa voglia di dare un messaggio di rinascita, gli eredi di Cencioni e l’associazione hanno organizzato questa mostra. Per chi vorrà recarsi a visitarla (orari 9-13/15-20) un video apre l’esposizione, illustrando in pochi minuti la figura di Cencioni e la sua arte. Formatosi nella scuola di Teofilo Patini e di Cifani, Cencioni iniziò la propria attività pittorica nel 1932, dipingendo quasi sempre all’aperto, sviluppando nel tempo una tecnica quasi impressionistica. Un’opera in particolare giganteggia nella mostra, una visione dell'Aquila da Porta Bazzano: «Fu restaurata nel '68», spiega Giuseppe Cencioni, «mio padre la regalò a me e mia moglie nel giorno delle nozze. È un quadro molto grande, cosa rara per lui che metteva sempre il quadro sul cavalletto. Amava al punto la sua arte da contrarre una forma di allergia, un eczema, perché d'inverno dipingeva all'aperto e impastava con i colori nelle mani, dipingendo con la tecnica a spatola o pennello pieno». E a fianco dei quadri di Cencioni, in mostra anche i disegni dei piccoli delle scuole Giovanni XIII e De Amicis, che dall’arte recuperano una memoria della propria città che rischia di andare persa.
Barbara Bologna
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