Crollo Convitto, chiesti due milioni di danni

15 Aprile 2017

La famiglia di una delle tre giovani vittime cita ministero, scuola ed ex preside Lentezze, processi, demolizioni. I professionisti chiedono di cambiare passo

L’AQUILA. Anche la tragedia del crollo del Convitto nazionale in seguito al sisma del 2009, nel quale morirono tre ragazzi, finita con due condanne penali confermate in Cassazione, avrà una coda davanti al giudice civile. Infatti i legali dei familiari di Luigi Cellini, minorenne di Trasacco deceduto sotto le macerie, hanno chiesto un maxi-risarcimento. La somma richiesta ammonta a circa due milioni di euro.

RICORSO La citazione, che ora dovrà essere notificata, è diretta al ministero dell’Istruzione, al Convitto Nazionale e al principale imputato, ovvero l’ex preside Livio Bearzi. La richiesta è avanzata in solido e spetterà al tribunale di indicare chi è il vero responsabile della tragedia sotto il profilo risarcitorio. Nel crollo morirono altri due minorenni stranieri, ma le loro famiglie non hanno avviato alcuna controversia.

La richiesta di danni, ovviamente, poggia su sentenze culminate con la condanna definitiva della Cassazione. Bearzi fu condannato a quattro anni di carcere per omicidio colposo plurimo e lesioni colpose. Fu anche arrestato, ma poi il tribunale di Sorveglianza decise di rimetterlo in libertà dopo il verdetto definitivo. Vincenzo Mazzotta, funzionario provinciale, ente che aveva la manutenzione di quella scuola come compito istituzionale, fu condannato a due anni e mezzo di reclusione ma con i benefìci di legge. I due sono stati chiamati in causa avendo, a detta dei magistrati penali, delle posizioni di garanzia.

CASSAZIONE. L’iniziativa risarcitoria poggia inevitabilmente sulle motivazioni della Cassazione. «La situazione di allarme sismico era talmente conclamata», scrisse la Cassazione, «che il sindaco dell’Aquila aveva disposto la chiusura di tutte le scuole del centro storico». Sulla responsabilità di Bearzi, la Suprema Corte affermò che «per costui il piano di sicurezza prevedeva espressamente il potere-dovere di disporre l’evacuazione in caso di necessità. D’altra parte, in quella notte fatale si era in presenza di indicazioni drammatiche e incalzanti che imponevano di corrispondere con immediatezza alle pressanti richieste dei giovani allievi e particolarmente di quelli minori». I supremi giudici, analizzando il comportamento del dirigente, concordarono sul fatto che «manifestò una conclamata insensibilità, una grave negligenza e imprudenza, imponendo ai ragazzi di sopportare un rischio intollerabilmente elevato che si concretizzò nel breve volgere di poche ore. La situazione aveva assunto una tale drammatica evidenza in quella notte, che veniva travolto qualunque parere fosse stato espresso in epoca anteriore a proposito della verifica di un sisma di rilevante portata». L’ex preside avrebbe dovuto far uscire gli studenti da quell’antica struttura prossima al collasso. Per quanto riguarda Mazzotta, la sua è stata «colpevole inerzia nel tempo e particolarmente nella fase di critica sismicità». Non è una sua colpa la mancata realizzazione degli interventi strutturali necessari a stabilizzare il Convitto, dato che non aveva poteri di spesa, ma «era suo compito regolamentare diversamente l’utilizzo del Convitto o «inibire l’uso dell’edificio». Infine, la Cassazione rimarcò che «non vi è dubbio che l’ente Convitto e il ministero dell’Istruzione debbano rispondere delle condotte colpose del preside».

«STATO ASSENTE». Le richieste di danni sono state presentate dai legali Antonio Milo e Stefano Rossi. «La famiglia del ragazzo di Trasacco», commenta l’avvocato Milo, «è stata lasciata sola dallo Stato. Mai un’offerta o una proposta di incontro in tanti anni». Mazzotta non è tra i citati, in quanto la Provincia è intenzionata a fare una transazione.

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