E’ morto Tragnone Nel 1992 arrestò la giunta regionale
L’AQUILA. Fabrizio Tragnone da pubblico ministero, nel settembre del 1992, provocò un “terremoto” che cambiò la storia politica abruzzese. Umanamente è stato sempre un personaggio riservato. In pubblico parlava poco, non rilasciava interviste e sfuggiva nei limiti del possibile alle telecamere. Ieri, a 56 anni, se ne è andato in silenzio, come nel suo stile.
E’ morto a Chieti nella clinica dove era ricoverato per una grave malattia che lo ha stroncato nel giro di poche settimane. Vicino a lui fino alla fine la moglie e i figli. I funerali si svolgeranno oggi alle 15 nella chiesa della Santissima Trinità a Chieti. Dall’Abruzzo sulla sua morte c’è stato un silenzio assordante. Le agenzie di stampa hanno battuto solo una dichiarazione di Pio Rapagnà che lo ha definito «un servitore fedele dello Stato». In redazione, all’Aquila, ha telefonato l’avvocato Angelo Colagrande che ha detto: «Era un uomo giusto e rispettoso delle regole e l’Abruzzo resta orfano di un vero punto di riferimento. La sua serietà non aveva limiti. Quando andavo a trovarlo in clinica, pochi giorni prima della morte, lo trovavo spesso a lavorare: si era portato gli atti dal suo ufficio nonostante sapesse di star male».
Io, come molti giovani cronisti aquilani, lo avevo conosciuto nel 1992 quando, dopo la morte improvvisa dell’allora procuratore capo Mario Giuseppe Ratiglia, quel pm alto, un po’ dinoccolato e coi baffi restò praticamente solo a gestire la Procura. Era l’epoca di Mani Pulite e il vento partito da Milano non tardò ad arrivare anche all’Aquila. La storia politico giudiziaria racconta che un giovane imprenditore di Alfedena, Francesco Mannella, un giorno di fine settembre 1992 dopo aver vagato senza costrutto negli uffici regionali per sapere come mai il suo progetto per realizzare un albergo non era stato finanziato, si recò poco prima delle 14 da Tragnone per denunciare illeciti nella distribuzione dei cosiddetti fondi Pop (piani operativi plurifondo). Erano soldi che arrivavano dall’Unione Europea e che dovevano servire a sostenere lo sviluppo economico della Regione.
Tragnone, dopo aver ricevuto la denuncia di Mannella, si convinse invece che quei soldi concessi dalla Regione (prima con una delibera di giunta e poi di consiglio) sulla base di una inesistente graduatoria, sarebbero dovuti servire ad alimentare le clientele dei partiti, in particolare la Dc e il Psi. Nella notte del 29 settembre 1992 scattò l’arresto dell’intera giunta regionale abruzzese guidata all’epoca dal democristiano Rocco Salini. Le cronache raccontano che in seguito agli arresti, la Giunta si dimise e ne fu eletta una nuova, un monocolore Dc guidato da Vincenzo Del Colle appoggiato all’esterno dal Pci. Entrarono nell’inchiesta anche diversi consiglieri e dirigenti regionali.
Una parte importante la ebbe un funzionario regionale, dapprima indagato e poi prosciolto, divenuto il testimone cardine dell’accusa sostenuta da Tragnone. In primo grado ci furono alcune condanne poi, nel novembre del 1998, la seconda Corte d’Appello di Roma assolse «perché il fatto non sussiste» tutti i componenti della Giunta dall’accusa di abuso d’ufficio. Ai magistrati romani il processo fu affidato dalla Corte di Cassazione che nel giugno del 1997 aveva annullato la sentenza con cui la Corte di Appello dell’Aquila (novembre 1995) aveva confermato le condanne di primo grado. Soltanto per Salini rimase in piedi un secondo reato, falso in atto pubblico, la cui pena, ridotta in appello a 1 anno e 4 mesi, fu confermata in Cassazione.
Tragnone prima della sentenza della Cassazione lasciò L’Aquila e divenne procuratore capo a Lanusei, in Sardegna, poi passò alla procura generale di Ancona e all’inizio di quest’anno era diventato procuratore capo di Pesaro-Urbino. Ieri sera un amico aquilano di Tragnone mi ha parlato di un uomo «affabile e riservato» che tornava spesso all’Aquila. Le sue uniche passioni, a parte la famiglia e il lavoro erano la pipa e una collezione di coltellini. Amava passare le serate con pochi e fidati amici gustando, senza mai esagerare, prodotti locali e con la concessione di una salsiccia alla brace. Ho anche saputo che molte di quelle cene si svolgevano a Onna, a due passi da casa mia. «Un giorno» racconta l’amico «Fabrizio Tragnone mi disse: ma lo sai che Onna è veramente un bel posto?». Sì, era un bel posto.

E’ morto a Chieti nella clinica dove era ricoverato per una grave malattia che lo ha stroncato nel giro di poche settimane. Vicino a lui fino alla fine la moglie e i figli. I funerali si svolgeranno oggi alle 15 nella chiesa della Santissima Trinità a Chieti. Dall’Abruzzo sulla sua morte c’è stato un silenzio assordante. Le agenzie di stampa hanno battuto solo una dichiarazione di Pio Rapagnà che lo ha definito «un servitore fedele dello Stato». In redazione, all’Aquila, ha telefonato l’avvocato Angelo Colagrande che ha detto: «Era un uomo giusto e rispettoso delle regole e l’Abruzzo resta orfano di un vero punto di riferimento. La sua serietà non aveva limiti. Quando andavo a trovarlo in clinica, pochi giorni prima della morte, lo trovavo spesso a lavorare: si era portato gli atti dal suo ufficio nonostante sapesse di star male».
Io, come molti giovani cronisti aquilani, lo avevo conosciuto nel 1992 quando, dopo la morte improvvisa dell’allora procuratore capo Mario Giuseppe Ratiglia, quel pm alto, un po’ dinoccolato e coi baffi restò praticamente solo a gestire la Procura. Era l’epoca di Mani Pulite e il vento partito da Milano non tardò ad arrivare anche all’Aquila. La storia politico giudiziaria racconta che un giovane imprenditore di Alfedena, Francesco Mannella, un giorno di fine settembre 1992 dopo aver vagato senza costrutto negli uffici regionali per sapere come mai il suo progetto per realizzare un albergo non era stato finanziato, si recò poco prima delle 14 da Tragnone per denunciare illeciti nella distribuzione dei cosiddetti fondi Pop (piani operativi plurifondo). Erano soldi che arrivavano dall’Unione Europea e che dovevano servire a sostenere lo sviluppo economico della Regione.
Tragnone, dopo aver ricevuto la denuncia di Mannella, si convinse invece che quei soldi concessi dalla Regione (prima con una delibera di giunta e poi di consiglio) sulla base di una inesistente graduatoria, sarebbero dovuti servire ad alimentare le clientele dei partiti, in particolare la Dc e il Psi. Nella notte del 29 settembre 1992 scattò l’arresto dell’intera giunta regionale abruzzese guidata all’epoca dal democristiano Rocco Salini. Le cronache raccontano che in seguito agli arresti, la Giunta si dimise e ne fu eletta una nuova, un monocolore Dc guidato da Vincenzo Del Colle appoggiato all’esterno dal Pci. Entrarono nell’inchiesta anche diversi consiglieri e dirigenti regionali.
Una parte importante la ebbe un funzionario regionale, dapprima indagato e poi prosciolto, divenuto il testimone cardine dell’accusa sostenuta da Tragnone. In primo grado ci furono alcune condanne poi, nel novembre del 1998, la seconda Corte d’Appello di Roma assolse «perché il fatto non sussiste» tutti i componenti della Giunta dall’accusa di abuso d’ufficio. Ai magistrati romani il processo fu affidato dalla Corte di Cassazione che nel giugno del 1997 aveva annullato la sentenza con cui la Corte di Appello dell’Aquila (novembre 1995) aveva confermato le condanne di primo grado. Soltanto per Salini rimase in piedi un secondo reato, falso in atto pubblico, la cui pena, ridotta in appello a 1 anno e 4 mesi, fu confermata in Cassazione.
Tragnone prima della sentenza della Cassazione lasciò L’Aquila e divenne procuratore capo a Lanusei, in Sardegna, poi passò alla procura generale di Ancona e all’inizio di quest’anno era diventato procuratore capo di Pesaro-Urbino. Ieri sera un amico aquilano di Tragnone mi ha parlato di un uomo «affabile e riservato» che tornava spesso all’Aquila. Le sue uniche passioni, a parte la famiglia e il lavoro erano la pipa e una collezione di coltellini. Amava passare le serate con pochi e fidati amici gustando, senza mai esagerare, prodotti locali e con la concessione di una salsiccia alla brace. Ho anche saputo che molte di quelle cene si svolgevano a Onna, a due passi da casa mia. «Un giorno» racconta l’amico «Fabrizio Tragnone mi disse: ma lo sai che Onna è veramente un bel posto?». Sì, era un bel posto.