L'Aquila chi va e chi resta, ecco la storia del pugile Davide: prendo a pugni la voglia di andare via

Il giovane Madonna tra le difficoltà economiche e sociali post-sisma: "Ho pensato più volte di trasferirmi, ma ha sempre prevalso l’amore per la città"

L’AQUILA. «Va bene, hai vinto e sei bravo... mo’ pitta, però». Quando il sogno di una vita fa i conti con gli impegni di lavoro. Le opportunità che non aspettano, ma neanche i datori di lavoro. Ma andiamo con ordine. Nei mesi scorsi, il Centro sperimentale di cinematografia ha raccolto storie e ritratti di giovani dai 15 ai 30 anni. Un’altra dichiarazione d’amore alla città attraverso vicende e aneddoti di ragazzi che restano legati a questa terra nonostante le difficoltà economiche e sociali post-sisma.

Tra le storie proposte c’è quella di Davide Madonna. Un documentario di 11 minuti realizzato da Manuel De Pandis, allievo salentino della scuola di cinematografia. La vicenda è piuttosto semplice, ma in qualche modo racconta la bella favola che ha permesso a Stallone di realizzare ben 7 episodi cinematografici (se si conta anche “Creed”, in uscita a gennaio). Non a caso, il cortometraggio si chiama “Non fa male”. Davide, il nostro Rocky, è un giovane aquilano che ha fatto del pugilato la sua ragione di vita. Dopo un’adolescenza in giro per i vicoli del centro storico, lavora come imbianchino nella ditta di famiglia. Scopre nella boxe una valvola di sfogo, che diventa, col passare del tempo, una passione totalizzante. Per gente come Davide, nulla è scontato. Lascia la scuola non appena finiti i termini dell’obbligo e si arrangia come può nell’azienda di famiglia. Poche idee su cosa fare da grande, qualche passione. Lo sport prima di tutto. Poi, il colpo di fulmine: arriva la boxe. «Ho conosciuto gente in gamba, come Luca Visconti frequentando le palestre cittadine», racconta lo stesso protagonista.

[[(Video) Non fa male, di Manuel De Pandis]]

«Gente come lui mi ha spinto a cimentarmi in queste discipline, non esclusivamente il pugilato: all’inizio sono partito col kickboxing, poi ho provato il K1, una disciplina del tutto simile in cui si usano anche le ginocchia. Un infortunio alle gambe mi ha spinto a concentrarmi sul pugilato». Sì, ma come conciliare il tutto con il lavoro? «Mi dicevano di lavorare sodo», prosegue Davide. «Riuscivo ad allenarmi e fare qualche incontro, ma anche se tornavo vincitore mi ripetevano... bravo, adesso pitta». Tra una mano di vernice e l’altra arriva qualche soddisfazione. Visconti, forte del suo curriculum ricco di incontri anche negli Usa, lo invita ad allenarsi a San Demetrio.

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Ma le cose al lavoro vanno così così e Davide si chiede più volte se sia il caso di lasciare L’Aquila per cercare altrove migliori condizioni lavorative. «Sono voluto restare», sottolinea. «Il mio amore per la boxe e per questa città ha sempre prevalso». Finalmente trova un nuovo lavoro come vigilante, ma a questo punto Davide si ritrova a scegliere tra il nuovo impiego e la boxe, il sogno a cui si è dedicato in vista dei campionati. «La lotta quotidiana», spiega il regista De Pandis, «è quella di ritagliarsi degli spazi per gli allenamenti, ma non è facile. Ho voluto raccontare questa storia, perché a suo tempo ho dovuto dire addio al pugilato per problemi di salute e per me non è stato affatto facile. Se Davide riesce a continuare a combattere avrà vinto anche per me».

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