La Cassazione: «Non era mafia nigeriana» 

Nuovo processo per tre dei sei coimputati di “Black Axe” con rinvio alla Corte d’Appello di Perugia 

L’AQUILA. Cade l’accusa di associazione di stampo mafioso. All’esito della lunga camera di consiglio seguita all'udienza pubblica di giovedì scorso, la Corte di Cassazione, sesta sezione penale, nella tarda serata di due giorni fa, ha emesso il verdetto in merito alla complessa vicenda giudiziaria relativa alla cosiddetta “Black Axe” (ascia nera), contro la mafia nigeriana.
In particolare la sentenza è stata emessa a seguito delle requisitorie del procuratore generale della Corte di Cassazione e delle successive discussioni dei difensori dei sei imputati nigeriani, tra i quali il presunto vice capo del sodalizio, difeso, nei tre gradi di giudizio, dall’avvocato cassazionista Carlotta Ludovici del Foro dell’Aquila.
Gli ermellini sono stati chiamati a decidere in quanto, contro la decisione dell'Assise del secondo grado di giudizio, il procuratore generale della Repubblica della Corte d’Appello dell’Aquila aveva presentato, nel mese di giugno 2023, ricorso per Cassazione, adducendo, nel proprio scritto, in buona sostanza, l'inosservanza o erronea applicazione della legge penale, con conseguente manifesta, illogica e contraddittoria motivazione, in cui sarebbe incorsa la Corte d’Appello allorquando aveva operato, in parziale riforma del pronunciamento di primo grado, la riqualificazione dei fatti contestati agli imputati, derubricando il reato di associazione di stampo mafioso in quello meno grave, anche in termini di pena massima edittale, dell’associazione per delinquere.
A seguito dell’udienza che si è tenuta lo scorso 14 marzo, la Suprema Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso presentato dal procuratore generale della Corte d’Appello per tre dei sei imputati, ha annullato la sentenza del secondo grado, impugnata da tre dei sei coimputati, relativamente al reato di associazione per delinquere e rinviato, quindi, alla Corte d’Appello di Perugia per il nuovo giudizio. La sentenza emessa nei confronti dei tre coimputati che non avevano impugnato la sentenza emessa in seconda istanza, è definitiva. Si attendono, ora, le motivazioni della Suprema Corte.
«Giustizia è fatta», dichiara l’avvocato Ludovici, «dopo oltre tre anni di processi. È una grande vittoria, perché è giusto scontare la pena per i fatti realmente commessi, non per quelli che non sussistono».