«Mai fatto truffe con l’acqua Santa Croce»
Colella respinge le accuse e consegna un dossier in Procura, i legali chiedono la revoca dei domiciliari
AVEZZANO. Ha parlato per due ore, mostrando una corposa documentazione e sostenendo di non essere un truffatore. «Tutte le operazioni della società Santa Croce di Canistro sono state lecite». Camillo Colella, l’imprenditore molisano patron dello stabilimento che imbottiglia l’acqua minerale, è arrivato ieri mattina in tribunale ad Avezzano per sottoporsi all’interrogatorio di garanzia.
Colella è stato arrestato mercoledì scorso dalla Guardia di Finanza nell’ambito dell’inchiesta su una presunta evasione fiscale di Iva e tasse per circa 13 milioni di euro. Frode che sarebbe stata portata a termine nel settore della commercializzazione delle acque minerali. All’imprenditore sono stati concessi i domiciliari nella sua casa di Isernia.
Accompagnato dai suoi legali, Roberto Fasciani di Avezzano e Alessandro Diddi di Roma (è anche il difensore di Salvatore Buzzi, uno dei principali imputati nel processo su Mafia Capitale, ndr), l’imprenditore Colella ha risposto a tutte le domande, mostrandosi molto collaborativo, come evidenziato dagli avvocati al termine dell’interrogatorio di fronte al gip Maria Proia e al pm Roberto Savelli. Gli avvocati Fasciani e Diddi hanno chiesto la revoca del provvedimento o, in alternativa, una misura meno restrittiva. La decisione del gip Proia è attesa nei prossimi giorni.
Le indagini hanno portato al sequestro di un ingente patrimonio nella disponibilità di Colella e di società a lui riconducibili. L’inchiesta coordinata dalla Procura di Avezzano è iniziata nel 2008. Oltre ai finanzieri del comando provinciale, hanno collaborato agli accertamenti gli 007 dell’Agenzia delle entrate. Secondo le accuse, l’imprenditore molisano, avvalendosi di consistenti finanziamenti infruttiferi tra le società del gruppo, avrebbe distolto ingenti somme di denaro destinate al pagamento delle imposte. I finanziamenti venivano veicolati in altre imprese del gruppo e, per mezzo di una rinuncia al credito, venivano svuotate le casse della società e vanificate le procedure di riscossione coattiva già promosse da Equitalia. Con queste operazioni, che sempre per l’accusa erano finalizzate alla distrazione di beni e valori dalla società, l’imprenditore si è reso responsabile anche del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte. ©RIPRODUZIONE RISERVATA