Morta nella rianimazione Covid: chiesto il giudizio per l’infermiere
L’uomo uscì dal reparto e chiese aiuto per una crisi respiratoria della donna, ma la porta si bloccò Per la Procura non avrebbe dovuto lasciarla da sola: il sulmonese è accusato di omicidio colposo
L’AQUILA. Si è chiusa con la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di un infermiere sulmonese, P.C. di 44 anni, l’inchiesta avviata dalla procura dell’Aquila sulla morte di una paziente affetta da Covid che era stata ricoverata nell’ospedale San Salvatore del capoluogo.
L’accusa formulata dal pm è di omicidio colposo nell’esercizio della professione sanitaria. Secondo la procura l’infermiere ha abbandonato la sorveglianza della paziente, deceduta dopo essere rimasta chiusa nella sua stanza per 15 minuti con la porta bloccata.
La storia risale all’ottobre del 2020, quando una paziente di 65 anni fu ricoverata nell’allora reparto di rianimazione “G8” Covid dell’Aquila. All’inizio le sue condizioni erano critiche, poi andarono via via migliorando fino al 3 novembre, quando il suo respiro si fece più difficoltoso, tanto da indurre l’infermiere a lasciare la paziente per andare ad avvisare il medico che in quel momento era in un’altra stanza, chiudendosi la porta dietro. All’arrivo dei medici, però, la porta della stanza di degenza era bloccata: per aprirla si rese necessario l’intervento di un operaio, durato circa un quarto d’ora. Quando i medici riuscirono a entrare nella stanza, la donna era già morta. Quindi la denuncia dei familiari e il via all’inchiesta, con tutte le responsabilità cadute sull’infermiere che, secondo la procura, non avrebbe dovuto lasciare la paziente da sola.
«È davvero increscioso che in un luogo dove bisognerebbe sentirsi al sicuro, possano verificarsi degli episodi tanto gravi. Chiunque di noi si sarebbe potuto ritrovare in quella situazione», afferma l’avvocato Carlotta Ludovici che assiste i familiari della donna deceduta. Di parere contrario il difensore dell’infermiere, l’avvocato Alessandro Scelli, secondo il quale il suo assistito non poteva prevedere che la porta si sarebbe bloccata proprio mentre stava sollecitando un intervento di soccorso nei confronti della paziente.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
L’accusa formulata dal pm è di omicidio colposo nell’esercizio della professione sanitaria. Secondo la procura l’infermiere ha abbandonato la sorveglianza della paziente, deceduta dopo essere rimasta chiusa nella sua stanza per 15 minuti con la porta bloccata.
La storia risale all’ottobre del 2020, quando una paziente di 65 anni fu ricoverata nell’allora reparto di rianimazione “G8” Covid dell’Aquila. All’inizio le sue condizioni erano critiche, poi andarono via via migliorando fino al 3 novembre, quando il suo respiro si fece più difficoltoso, tanto da indurre l’infermiere a lasciare la paziente per andare ad avvisare il medico che in quel momento era in un’altra stanza, chiudendosi la porta dietro. All’arrivo dei medici, però, la porta della stanza di degenza era bloccata: per aprirla si rese necessario l’intervento di un operaio, durato circa un quarto d’ora. Quando i medici riuscirono a entrare nella stanza, la donna era già morta. Quindi la denuncia dei familiari e il via all’inchiesta, con tutte le responsabilità cadute sull’infermiere che, secondo la procura, non avrebbe dovuto lasciare la paziente da sola.
«È davvero increscioso che in un luogo dove bisognerebbe sentirsi al sicuro, possano verificarsi degli episodi tanto gravi. Chiunque di noi si sarebbe potuto ritrovare in quella situazione», afferma l’avvocato Carlotta Ludovici che assiste i familiari della donna deceduta. Di parere contrario il difensore dell’infermiere, l’avvocato Alessandro Scelli, secondo il quale il suo assistito non poteva prevedere che la porta si sarebbe bloccata proprio mentre stava sollecitando un intervento di soccorso nei confronti della paziente.
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