Il Pg dell'Aquila Alessandro Mancini

IL CASO

"Ombre" su nomina del procuratore generale dell'Aquila, il Csm lo trasferisce

"Chiaro coinvolgimento" degli ex parlamentari Pini e Ferri anche nella procedura amministrativa di conferimento dell'incarico.  La difesa di Mancini: "Nessuna attinenza, né riscontri"

ROMA. Ha «intrattenuto rapporti personali» con l'imprenditore e ex deputato della Lega Gianluca Pini, «più volte indagato dalla Procura di Forlì», anche con l'obiettivo di «conseguire specifiche utilità». E i messaggi trovati nel cellulare dell'ex parlamentare rendono evidente «un chiaro coinvolgimento» di questi e dell'allora «onorevole Ferri nella procedura amministrativa di conferimento dell'incarico di Procuratore generale presso la Corte di appello dell'Aquila». Con queste motivazioni il plenum del Csm, a maggioranza (11 voti a favore, 8 contrari e 3 astenuti), ha disposto il trasferimento d'ufficio per incompatibilità del Procuratore generale (Pg) dell'Aquila Alessandro Mancini.

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Nominato all'unanimità a questo incarico il 4 novembre del 2020, Mancini aveva lavorato sino al 2013 alla Procura di Forlì e i suoi contatti con Pini sono emersi proprio da un'inchiesta di quell'ufficio giudiziario, i cui atti, chat comprese, sono stati trasmessi al Csm. Messaggi che secondo i consiglieri mettono in discussione la «credibilità» del magistrato.

Il tenore delle chat tra Pini e Mancini assieme ai messaggi indirizzati da Pini a Cosimo Ferri «cristallizzano l'interessamento del primo in favore del dott. Mancini, ai fini del conferimento dell'incarico direttivo attualmente occupato, nonché le improprie sollecitazioni di quest'ultimo nei confronti del Pini», scrivono i consiglieri nella delibera approvata. «Non è dubitabile», che il coinvolgimento di Pini e di Ferri, «compromette irrimediabilmente lo svolgimento delle funzioni da parte di Mancini secondo i richiesti canoni di indipendenza ed imparzialità», sottolineano ancora.

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Pini organizzò un incontro tra Ferri e Mancini, che si tenne a gennaio del 2020. Qualche mese dopo l'imprenditore scrisse nuovamente a Ferri: «Ciao Cosimo. Adesso che si è chiusa la pratica romana, ricordati per favore di Alessandro (L'Aquila)...». Non ha dubbi il relatore del fascicolo, Nino Di Matteo, che richiama l'attenzione sulla particolarità del caso: «siamo abituati ad analizzare vicende in cui il magistrato che vuole conseguire una nomina chiede di parlare con un componente del Csm. Qui un magistrato si rivolge a un parlamentare in carica, già travolto dalla notorietà dei suoi tentativi di condizionare impropriamente l'attività del Csm, e lo fa per il tramite di un ex parlamentare». E la richiesta di un aiuto alla politica «è particolarmente grave dal punto di vista della menomazione dell'immagine di indipendenza e imparzialità del dottor Mancini».

LA DIFESA. «Non posso riconoscermi in questa ricostruzione dei fatti: non c'è nessuna chat che abbia quale argomento la nomina a procuratore generale dell'Aquila» reagisce Mancini in plenum, spiegando di aver voluto vedere Ferri soltanto per ricostruire il rapporto trentennale che aveva con lui e che si era interrotto dopo la "vicenda Palamara". Quel colloquio «non aveva né poteva avere alcuna finalità di influire sul procedimento di nomina a Pg dell'Aquila», non solo perché lui non aveva all'epoca nemmeno presentato domanda, ma anche perchè sarebbe stato un "suicidio" rivolgersi a Ferri dopo il caso Palamara.

«Non ci sono riscontri» ha sostenuto anche il suo difensore Maurizio Arcuri, che ha contestato alla radice la procedura del Csm. «Non poteva nemmeno essere aperta» sostiene il legale, lamentando che in Commissione non c'era la maggioranza sufficiente e che l'intervento del Csm c'è stato oltre il termine previsto dalle regole e contestando anche l'utilizzo delle chat di Ferri, allora parlamentare in carica. (ANSA).

Sandra Fischetti