Petrocchi: «Basta con il pettegolezzo»
Nella città che si fa vanto della tradizione “laica” di Sant’Agnese l’arcivescovo invita a porre un freno alle malelingue
L’AQUILA. Sant’Agnese c’entra poco. Anche se non sarà sfuggito all’arcivescovo Giuseppe Petrocchi che, per una serie di ragioni storiche, questa città accosta il nome di una delle figure più delicate dell’agiografia cristiana antica alla pratica delle malelingue. Quel pettegolezzo talvolta malevolo che il presule stigmatizza e giudica pericoloso in una delle sue riflessioni raccolte nel volumetto “La chiesa aquilana sulle vie del Giubileo”, divulgato due settimane prima dell’apertura ufficiale del percorso giubilare, prevista nella diocesi aquilana domenica 13 dicembre a San Bernardino.
Secondo Petrocchi, «Esistono reti di comunicazione (alternative a quelle ufficiali) che si rivelano potenti conduttori di notizie, come pure pettegolezzi». Infatti, «quei “fili invisibili”», veicolano fatti reali (o presunti tali), come anche i “si dice” (distorsivi o frutto di immaginazione)».
Nel testo non è certo specificato, ma si può immaginare che più che il sottobosco dei social network, l’arcivescovo ce l’abbia con i cosiddetti “telefoni senza fili”. E così questi “si dice” somigliano tanto a quei “dice che” su cui tante teorie vengono costruite, spesso nell’intenzione di far male a qualcuno.
«Chi fa da ponte al chiacchiericcio», spiega, «e lo trasferisce ad altri, se ne assume la responsabilità davanti a Dio e alla comunità. Non può autoassolversi dicendo: “Io l’ho riferito ad altri, perché mi è arrivato”».
Petrocchi ne fa una questione di «coscienza personale (cristianamente formata) «che dovrebbe, con l’aiuto della comunità ecclesiale, «adottare adeguati filtri depuratori, idonei a depotenziare, correggere e neutralizzare questi fenomeni negativi. In nome della fede, ma anche degli autentici valori umani, i credenti della nostra Chiesa devono essere consapevoli che non possono essere complici di questi processi, che non raramente equivalgono a forme di lapidazione sociale».
Di qui, l’invito a non amplificare le voci ricorrenti, sulla scia delle parole di papa Francesco in Misericordiae Vultus: «Quanto male fanno le parole», scrive il pontefice, «quando sono mosse da sentimenti di gelosia e di invidia! Parlare male del fratello in sua assenza equivale a porlo in cattiva luce, a compromettere la sua reputazione e lasciarlo in balia della chiacchiera». Tutto questo e molto altro nel fascicolo che ripropone ampi stralci della relazione che Petrocchi ha tenuto durante l’Assemblea pastorale diocesana a fine settembre. Un invito a declinare la misericordia nelle varie fasi della vita quotidiana, utilizzando gli stimoli del Vangelo. Da questo punto parte la «tensione ad incarnare la verità» e perseguire il bene comune con dei passi concreti. Petrocchi, guardando all’Aquila, ribadisce la necessità di coltivare “buone relazioni” al fine di mantenere quello spirito di unità. Un elemento essenziale in una città come L’Aquila dove vengono prese scelte fondamentali per la ricostruzione sopravvivenza del tessuto sociale della comunità.
Nell’opuscolo si fa anche riferimento all’accoglienza nei confronti degli immigrati «che per noi sono “stranieri” ma non “estranei”».
Fabio Iuliano
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