Tendopoli, la minaccia degli irriducibili
Esodo tra le proteste: a centinaia non accettano le nuove destinazioni in albergo.
L’AQUILA. «A 75 anni vajo a Rocca di Mezzo. Ci stanno compresi pure gli sci?». Campo Globo, sfollati in partenza. C’è chi accetta di buon grado e chi boccia la destinazione e minaccia: «Restiamo in tenda».
PROVA DI FORZA. Dopo piazza d’Armi, la più grande area di accoglienza della città sparsa smantellata in due giorni, con 40 irriducibili abbandonati al loro destino senza bagni né mensa, lo sgombero delle tendopoli prosegue con il campo di Marina ed Esercito del parcheggio Globo che contava, fino a poco tempo fa, 800 ospiti. Oggi, fonte Protezione civile, ne sono rimasti poco più della metà. Ma quelli rimasti non hanno alcuna intenzione di cedere. A parte la donna di 75 anni che, alla fine, accetta di andarsene a Rocca di Mezzo, con il compromesso che lì ci saranno pure i figli. Davanti alla tenda blu all’ingresso del campo c’è un capannello di persone che non accetta il trasferimento. «Niente nomi», è questa la premessa. «Stiamo trattando con la Protezione civile per ottenere il più possibile un avvicinamento all’Aquila e non possiamo permetterci di rischiare ritorsioni».
Ma perché, dopo 6 mesi di tenda, è difficile convincere la gente ad accettare una stanza d’albergo per 60 giorni? I motivi sono tanti e vanno dal lavoro allo studio agli affetti fino alla ferma volontà di restare «vicino agli animali». Una casistica ampia e articolata cui la Protezione civile sta cercando di fare fronte con un imponente schieramento di uomini. Per lo sgombero c’è anche una squadra speciale che smonta le case di tela a tempi da record. Nella tenda dei colloqui, ogni tanto, gettano uno sguardo anche poliziotti in borghese e carabinieri. «Non si sa mai», dicono. Anche se, finora, più in là di qualche urlo non si è andati.
IL VOUCHER. Si chiama voucher il certificato che ogni sfollato riceve in mano dagli addetti della Protezione civile. Dà diritto a un posto in albergo, assegna località e numero di stanza. In fondo al foglio bisogna mettere una croce e una firma: accetta/non accetta. La seconda casella è molto gettonata. Paola Scimia, cassintegrata Transcom, ha deciso che non si sposta. «In albergo ad Avezzano? Manco a pensarci. Io non ho più un lavoro. Sono in tenda dal 6 aprile, non prendo soldi da luglio e adesso devo accettare di andarmene dall’Aquila? Non ho nessuna intenzione di farlo. Il problema è essenzialmente di carattere economico. Stare in albergo fuori e viaggiare ogni giorno è antieconomico. Come facciamo a vivere senza soldi? L’unica soluzione potrebbe essere l’autonoma sistemazione, ma a patto che i soldi arrivino in tempi accettabili.
Abbiamo chiesto almeno una convenzione con qualche locale per il vitto all’Aquila ma non abbiamo avuto risposte. Certo, con 300 euro al mese è impossibile vivere. A mio figlio studente universitario hanno proposto un posto alle cuccette della stazione. Il sindaco Cialente deve rendersi conto che oltre al terremoto c’è il rischio povertà. Nessuno si fa carico di questo». La donna è in attesa di sostenere il colloquio per l’assegnazione della casa nel complesso di Paganica 2. Nella stessa tenda c’è l’artista Franco Angelosante. «Ho esposto alla mostra del G8, unico vivente, e aquilano, tra gli autori delle opere prescelte. Ho sempre fatto tutto da solo, non ho mai chiesto aiuti ai politici. Ma una riflessione va fatta. I contributi sono stati dati a tutti, alle partite Iva e agli ingegneri che stanno lavorando e prendono contemporaneamente gli 800 euro per il loro studio chiuso.
Ma agli artisti nessuno ha pensato. Farò tutto da solo ma voglio denunciare le disparità, anche nell’assegnazione dei posti». All’uscita dalla tenda 43 ci sono quattro donne tutte molto arrabbiate. Sono quelle del «senza nome, per carità». Una parla per tutte: «Lavoriamo a scuola, i nostri figli fanno i turni e non possiamo spostarci dall’Aquila. Hanno sistemato alla Finanza gli extracomunitari che non lavorano e noi siamo rimasti a secco. Aspetteremo qui fino a quando possiamo». Invece c’è chi sta pensando di attrezzarsi. Almeno fino a quando non avranno le chiavi dell’alloggio del progetto Case. «Mio marito comprerà le bombole del gas e rientreremo in una casa E», sostiene Laura De Simone. «Mia figlia sta alla Finanza con una bimba piccola ma tra poco tornerà a lavorare e se noi familiari saremo costretti ad andare fuori L’Aquila non potremo darle nessun sostegno. Quando ho detto che mia nipote la porterò alla Protezione civile mi hanno detto: chiami pure il Gabibbo. Ma non cambierà niente». A fine giornata al Globo vengono tolte 15 tende. A San Gregorio, invece, pompieri in azione per spegnere l’incendio di una roulotte parcheggiata davanti alla tendopoli, dove vive una persona originaria di Napoli, rimasta illesa. Indagini in corso, al momento si esclude il dolo. Il primo ad accorgersi delle fiamme Franco Marulli del comitato a difesa dei cittadini.
AD ARISCHIA. Flavia Pesce, «casa E da abbattere», alla proposta di andare a Verrico di Montereale, «sì, sotto la faglia», ha risposto così ai funzionari: «Io vado a casa tua e tu vieni a Montereale. Non ha nessuna voglia di spostarsi neppure Tatiana Zanni, una delle 150 ospiti del campo di Arischia. A dar loro man forte arrivano due consiglieri di circoscrizione, Lorenzo Salomone e Fabrizio Taranta, che dice: «I residenti della tendopoli stanno ricevendo indebite pressioni per lasciare il loro posto. Non è chiaro chi le fa, ma ci sono pressioni. Qui da noi ci sono tanti problemi, dai ritardi per i Map alla scuola messa in una zona alluvionale, tanto che già ci piove, fino alla mancanza di un pulmino che colleghi il paese e la nuova scuola». Ma il capo campo Lucio Di Ielsi smentisce gli sfollati: «Nessuna pressione, tutto da decidere».
PROVA DI FORZA. Dopo piazza d’Armi, la più grande area di accoglienza della città sparsa smantellata in due giorni, con 40 irriducibili abbandonati al loro destino senza bagni né mensa, lo sgombero delle tendopoli prosegue con il campo di Marina ed Esercito del parcheggio Globo che contava, fino a poco tempo fa, 800 ospiti. Oggi, fonte Protezione civile, ne sono rimasti poco più della metà. Ma quelli rimasti non hanno alcuna intenzione di cedere. A parte la donna di 75 anni che, alla fine, accetta di andarsene a Rocca di Mezzo, con il compromesso che lì ci saranno pure i figli. Davanti alla tenda blu all’ingresso del campo c’è un capannello di persone che non accetta il trasferimento. «Niente nomi», è questa la premessa. «Stiamo trattando con la Protezione civile per ottenere il più possibile un avvicinamento all’Aquila e non possiamo permetterci di rischiare ritorsioni».
Ma perché, dopo 6 mesi di tenda, è difficile convincere la gente ad accettare una stanza d’albergo per 60 giorni? I motivi sono tanti e vanno dal lavoro allo studio agli affetti fino alla ferma volontà di restare «vicino agli animali». Una casistica ampia e articolata cui la Protezione civile sta cercando di fare fronte con un imponente schieramento di uomini. Per lo sgombero c’è anche una squadra speciale che smonta le case di tela a tempi da record. Nella tenda dei colloqui, ogni tanto, gettano uno sguardo anche poliziotti in borghese e carabinieri. «Non si sa mai», dicono. Anche se, finora, più in là di qualche urlo non si è andati.
IL VOUCHER. Si chiama voucher il certificato che ogni sfollato riceve in mano dagli addetti della Protezione civile. Dà diritto a un posto in albergo, assegna località e numero di stanza. In fondo al foglio bisogna mettere una croce e una firma: accetta/non accetta. La seconda casella è molto gettonata. Paola Scimia, cassintegrata Transcom, ha deciso che non si sposta. «In albergo ad Avezzano? Manco a pensarci. Io non ho più un lavoro. Sono in tenda dal 6 aprile, non prendo soldi da luglio e adesso devo accettare di andarmene dall’Aquila? Non ho nessuna intenzione di farlo. Il problema è essenzialmente di carattere economico. Stare in albergo fuori e viaggiare ogni giorno è antieconomico. Come facciamo a vivere senza soldi? L’unica soluzione potrebbe essere l’autonoma sistemazione, ma a patto che i soldi arrivino in tempi accettabili.
Abbiamo chiesto almeno una convenzione con qualche locale per il vitto all’Aquila ma non abbiamo avuto risposte. Certo, con 300 euro al mese è impossibile vivere. A mio figlio studente universitario hanno proposto un posto alle cuccette della stazione. Il sindaco Cialente deve rendersi conto che oltre al terremoto c’è il rischio povertà. Nessuno si fa carico di questo». La donna è in attesa di sostenere il colloquio per l’assegnazione della casa nel complesso di Paganica 2. Nella stessa tenda c’è l’artista Franco Angelosante. «Ho esposto alla mostra del G8, unico vivente, e aquilano, tra gli autori delle opere prescelte. Ho sempre fatto tutto da solo, non ho mai chiesto aiuti ai politici. Ma una riflessione va fatta. I contributi sono stati dati a tutti, alle partite Iva e agli ingegneri che stanno lavorando e prendono contemporaneamente gli 800 euro per il loro studio chiuso.
Ma agli artisti nessuno ha pensato. Farò tutto da solo ma voglio denunciare le disparità, anche nell’assegnazione dei posti». All’uscita dalla tenda 43 ci sono quattro donne tutte molto arrabbiate. Sono quelle del «senza nome, per carità». Una parla per tutte: «Lavoriamo a scuola, i nostri figli fanno i turni e non possiamo spostarci dall’Aquila. Hanno sistemato alla Finanza gli extracomunitari che non lavorano e noi siamo rimasti a secco. Aspetteremo qui fino a quando possiamo». Invece c’è chi sta pensando di attrezzarsi. Almeno fino a quando non avranno le chiavi dell’alloggio del progetto Case. «Mio marito comprerà le bombole del gas e rientreremo in una casa E», sostiene Laura De Simone. «Mia figlia sta alla Finanza con una bimba piccola ma tra poco tornerà a lavorare e se noi familiari saremo costretti ad andare fuori L’Aquila non potremo darle nessun sostegno. Quando ho detto che mia nipote la porterò alla Protezione civile mi hanno detto: chiami pure il Gabibbo. Ma non cambierà niente». A fine giornata al Globo vengono tolte 15 tende. A San Gregorio, invece, pompieri in azione per spegnere l’incendio di una roulotte parcheggiata davanti alla tendopoli, dove vive una persona originaria di Napoli, rimasta illesa. Indagini in corso, al momento si esclude il dolo. Il primo ad accorgersi delle fiamme Franco Marulli del comitato a difesa dei cittadini.
AD ARISCHIA. Flavia Pesce, «casa E da abbattere», alla proposta di andare a Verrico di Montereale, «sì, sotto la faglia», ha risposto così ai funzionari: «Io vado a casa tua e tu vieni a Montereale. Non ha nessuna voglia di spostarsi neppure Tatiana Zanni, una delle 150 ospiti del campo di Arischia. A dar loro man forte arrivano due consiglieri di circoscrizione, Lorenzo Salomone e Fabrizio Taranta, che dice: «I residenti della tendopoli stanno ricevendo indebite pressioni per lasciare il loro posto. Non è chiaro chi le fa, ma ci sono pressioni. Qui da noi ci sono tanti problemi, dai ritardi per i Map alla scuola messa in una zona alluvionale, tanto che già ci piove, fino alla mancanza di un pulmino che colleghi il paese e la nuova scuola». Ma il capo campo Lucio Di Ielsi smentisce gli sfollati: «Nessuna pressione, tutto da decidere».