L'AQUILA
Terrorismo, dieci arresti in Abruzzo. C'è anche l'imam
In carcere 8 tunisini e due italiani fra i quali una commercialista: fondi neri destinati al finanziamento dell'organizzazione radicale islamica "Al-Nusra" in Siria. Sequestrati appartamenti sulla costa abruzzese e un milione di euro. Coinvolti in 55, altri 17 indagati. I nomi degli arrestati
L'AQUILA. I carabinieri del Ros e i finanzieri del Gico dell'Aquila hanno eseguito una ordinanza di custodia cautelare con 10 arresti. Tra questi - 8 di origine tunisina e 2 italiana - anche l'imam della moschea Dar Assalam di Martinsicuro, in provincia di Teramo, e una commercialista di origine torinese. Tutti con rapporti diretti con i centri della costiera teramana, in particolare Alba Adriatica e Martinsicuro.
I NOMI. Sono dieci di cui otto di origini tunisine e due italiani, gli arrestati: due in carcere e le altre ai domiciliari. Con loro agli atri 17 indagati devono rispondere di reati tributari e di autoriciclaggio, con finalità di terrorismo, contestati dalla Direzione Distrettuale Antimafia ed Antiterrorismo di L'Aquila, al termine di indagini condotte sai carabinieri del Ros e dai finanzieri del Gico del capoluogo abruzzese. Complessivamente, sono 55 i personaggi coinvolti. In carcere sono finiti in carcere due tunisini: l'imprenditore nel campo delle ristrutturazioni edili e delle vendita di tappeti, Jameleddine B. Brahim Kharroubi, di 57 anni, residente a Torino, con dimora ad Alba Adriatica , il principale indagato e presunto capo della cellula terroristica, e Atef Argoubi, 40enne residente a Castorano (Ascoli Piceno). Ai domiciliari sono finiti il 41enne Sabeur Ben Kalifa Jebril e il 40enne Sofiene Ben Khalifa Jebril, entrambi nati in Tunisia ma residenti a Torino, i connazionali 36enni Sahbi Kharroubi e Akram Ben Mohamed Kharroubi, e la 29enne Wissal Doss, tutti residenti ad Alba Adriatica (Teramo). Sono donne e sono ai domiciliari le persone di nazionalità italiana: la 52enne Nicoletta Piombino, nata a Corato (Bari) ma residente a Torino, moglie del principale indagato Jameleddine B. Brahim Kharroubi, e la 43enne Cristina Roina, quet'ultima commercialista di una delle società controllate da Brahim Kharroubi che vedono la presenza di prestanomi, finiti nei guai tra cui Akram Ben Mohamed Kharroubi e Sofiene Ben Khalifa Jebril e la stessa moglie. La commercialista è accusata di avere artatamente predisposto la contabilità per «mascherare» gli illeciti tributari, tra i quali l'utilizzo di fatture per operazioni inesistenti (molte delle quali «autoprodotte») per oltre 2 milioni di euro.
LE ACCUSE. Gli indagati distraevano tramite alcune società ingenti somme di denaro, in parte frutto di evasione fiscale, da destinare anche al finanziamento di attività riconducibili all'organizzazione radicale islamica "Al-Nusra", nonché in favore di Imam dimoranti in Italia, uno dei quali già condannato in via definitiva per associazione con finalità di terrorismo internazionale. Le operazioni avvenivano tramite società del settore della rifinitura edilizia e del commercio di tappeti, erano formalmente intestate a “prestanome” ma di fatto gestite da un unico soggetto, il tunisino capo indiscusso del gruppo. Nel corso dell'operazione sono stati sequestrati circa un milione di euro ad alcuni indagati e quattro appartamenti tra Martinsicuro ed Alba Adriatica (Teramo), di proprietà di altre persone finite nei guaie acquistati riciclando il denaro. A marzo c'erano già state 20 perquisizioni in Abruzzo, Piemonte, Lombardia e Marche.
FONDI NERI IN TURCHIA. «Abbiamo ragionevole certezza che il sodalizio colpito dai nostri provvedimenti creava fondi neri che venivano trasferiti in Turchia, luogo dal quale venivano utilizzati per finanziare il trasferimento in Siria dei militanti terroristi». Lo ha detto in conferenza stampa il procuratore distrettuale antimafia dell'Aquila, Michele Renzo, nel commentare l'operazione della Dda, che ha portato ai dieci arresti nel Teramano. Renzo ha voluto poi fare i complimenti alle forze dell'ordine che hanno effettuato le indagini. «La grande capacità dei carabinieri di controllare il territorio e l'apporto indispensabile della Gdf per le competenze specifiche dimostrano che è indispensabile che le differenti forze di polizia debbano lavorare in maniera complementare per esaltare le loro competenze».
IL TUNISINO DI ALBA ADRIATICA. Il principale indagato è un tunisino che commerciava in tappeti e ristrutturazioni edili. L'uomo risiedeva a Torino, ma aveva la dimora ad Alba Adriatica, ed organizzava il trasferimento di denaro in Siria e Turchia anche per «favorire il passaggio di aspiranti terroristi» in quei paesi. «Il denaro veniva trasferito con operazioni illegali tra cui fatturazioni false, con trasferimenti con corrieri e anche con il pagamento di somme superiori ai dipendenti che poi portavano indietro la parte eccedente - ha spiegato il comandante regionale abruzzese della Gdf, Gianluigi D'Alfonso». Già dalle prime indagini è emerso l'ingiustificato flusso di danaro che transitava anche in Germania e Svezia. I movimenti ammontano a oltre un milione di euro