Allarme dei sindacati: «Solvay chiude»
Dopo lo stop ad alcune produzioni arriva la notizia della joint-venture con un colosso inglese che esclude il sito di Bussi
BUSSI SUL TIRINO. Sarebbe alto rischio di chiusura definitiva degli impianti Solvay nel polo chimico di Bussi. E’il timore espresso dale organizzazioni sindacali dopo aver partecipato ad un tavolo di trattativa nella sede di Confidustria. Un incontro convocatodovuto dopo la richiesta della Solvay di apertura della cassa integrazione i straordinaria per 22 lavoratori a seguito della chiusura dei reparti della chimica fine e dei silicati. Alla riunione hanno partecipato per la Solvay Giorgio Favro, Gianluca Giannetti, Bruno Aglietti, assistiti da Pasquale Pinnetti di Confindustria; la Rsu assistita dalle segreterie territoriali dei sindacati di categoria con Domenico Ronca e Giovanni D'Addario della Cgil,Donatino Primante e Massimiliano Razzaia della Cisl, Giovanni Cordesco della Uil. I sindacalisti non hanno accettato le motivazioni con le quali l'azienda ha spiegato la chiusura dei due reparti: il trasferimento della produzione della chimica fine in un latrostabilimento della Solvay, e la spiegazione che i silicati non costituiscono il principale business aziendale. «Non ci hanno persuaso», afferma D'Addario, «perché, per ammissione della Solvay, in una riunione con i quadri aziendali, era stato comunicato la chiusura in attivo per il terzo anno consecutivo. Ci chiediamo: come si può chiudere un'azienda con un bilancio in attivo?» Ma i sindacalisti fanno rilevare un altro elemento fondamentale che avvalorerebbe i loro timori: la joint-venture al 50% stretta qualche settimana fa con il colosso chimico inglese Ineos per la produzione del cloro e derivati, dalla quale però è stato escluso lo stabilimento di Bussi. «La nuova società», riprende D'Addario, «avrà 17 impianti produttivi in nove paesi, con 5650 addetti. La Ineos, oltre a prendere impianti, dovrà trasferire nei suoi ranghi anche le maestranze. Questa fusione sarà di breve durata perché, da come è scritto nella lettera di intenti, la Ineos avrà la possibilità di rilevare dopo 4 anni e non oltre i 6 l'intera quota di Solvay nella joint-venture. L'uscita di Solvay da questo tipo di chimica rappresenta un passo in avanti verso la strategia più volte illustrata che è quella di abbandonare la chimica di base a favore di una chimica con più alta marginalità con elevati tassi di crescita». Lo stabilimento di Bussi, dunque, verrebbe escluso da questo processo. A Bussi, uno dei siti chimici più vecchi d'Italia, il cloro e derivati si producono da più di un secolo, oggi con un nuovo processo a membrana che ha mandato in pensione il vecchio processo con celle a mercurio che aveva un impatto ambientale devastante. Bussi è fuori poiché questo impianto dovrà essere dismesso nel 2014 quando inizieranno le operazioni di fusione con Ineos che non prevede l'assorbimento di Bussi. «La chiusura del settore cloro coinvolge anche quello dello sbiancante Isagro che insieme prendono circa 45 maestranze» osserva D'Addario. «Ne resterebbero una trentina nei servizi che comunque andrebbero fuori visto che non ci sarebbero più servizi senza processo produttivo». Alla Solvay resterebbe solo la gestione della centrale idroelettrica di produzione di energia che ha tre addetti, ma che comporta un introito elevato a bassissimo costo. «E' chiaro dunque», incalza D'Addario, «che alla Solvay il sito di Bussi non interessa. Le due cose messe insieme, chiusura di chimica fine e silicati e la joint con Ineos con esclusione Bussi, per questo stabilimento potrebbero essere fatali».
Walter Teti
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