Arrestato il sindaco D'Alfonsol'accusa: tangenti
Domiciliari anche per l’imprenditore De Cesaris e l’ex braccio destro Guido Dezio
PESCARA. Arrestato. Dopo due giorni cupi, con voci e allarmi che hanno scosso Palazzo di città, il sindaco Luciano D’Alfonso è da ieri sera agli arresti domiciliari con accuse gravissime a carico: corruzione, concussione, abuso, falso ideologico, truffa aggravata. Le stesse ipotesi di reato che hanno fatto scattare il secondo arresto per il più fidato dei suoi collaboratori, Guido Dezio. Con loro è stato arrestato, per corruzione aggravata, anche l’imprenditore Massimo De Cesaris, titolare della società Fidia.
Il capo della squadra Mobile Nicola Zupo e il dirigente della Polizia Pasquale Sorgonà hanno notificato al sindaco il provvedimento firmato dal gip Luca De Ninis alle 22.30 di ieri, quando D’Alfonso era appena rientrato nella sua abitazione di Salita Zanni. Pochi minuti prima, lasciando il Comune, ai suoi assessori e ad alcuni dei consiglieri fidati aveva detto senza dare altre spiegazioni dopo la riunione di giunta: «Io sono una persona onesta. Adesso mi fermerò per un anno per difendermi».
Luciano D’Alfonso si era congedato da loro alle 22.15. Al suo arrivo a casa ha trovato ad attenderlo la polizia. «Questo non è un paese civile» avrebbe commentato il primo cittadino aprendo la porta alla polizia. Per lui, così come per le altre due persone arrestate con lui, è stata decisa la detenzione domiciliare. Dopo la diffusione della notizia, fino a tarda notte, giornalisti e fotografi hanno aspettato di fronte alla questura dove, dopo gli arresti, il pm Varone ha tenuto una riunione con i dirigenti della polizia e i loro collaboratori. Da una delle stanze si sono sollevati applausi: al capo della mobile è stata regalata una maglietta con la scritta Zuperman.
Al centro dell’inchiesta condotta dal sostituto procuratore Gennaro Varone, un’indagine che ha minato l’amministrazione D’Alfonso e che ieri sera si è conclusa con la più clamorosa delle decisioni, ci sono due appalti: quello da 18 milioni di euro per l’ampliamento e la gestione dei due cimiteri di Pescara, a Colle Madonna e a San Silvestro, assegnato alla Fidia di De Cesaris, e il mega-appalto da 60 milioni di euro per la riqualificazione dell’area di risulta, assegnato alla Toto Costruzioni prima di essere revocato a seguito di una serie infinita di polemiche.
Secondo gli inquirenti, in particolare, D’Alfonso avrebbe ricevuto da Toto viaggi gratis in aereo, denaro, l’assegnazione di una autovettura con autista-factotum, oltre a una serie di finanziamenti per i quali la contropartita sarebbe stata l’assegnazione del gigantesco appalto per la sistemazione dell’area di risulta nell’ambito di un rapporto privatistico. La truffa si sarebbe invece concretizzata, questo è l’ipotesi della procura, nella distrazione di fondi pubblici utilizzati per coprire spese elettorali. Ma se questo è il fulcro dell’inchiesta choc che decapita la giunta di Pescara nel modo più cruento, proprio nella sera del crollo elettorale del centrosinistra, altri sarebbero gli episodi contestati al sindaco.
Gli inquirenti parlano di una serie di episodi corruttivi anche relativi a piccole somme accertati a partire dal 2005. Prova di questi episodi sarebbe stata trovata anche nell’elenco cifrato contenente nomi e somme sequestrato nell’ufficio di Guido Dezio in Comune, una lista in cui erano contenuti nomi di imprenditori e presunte dazioni. Tutte le voci dell’elenco sarebbero state verificate e per tutte, secondo gli inquirenti, sarebbe stato accertato che si trattava di tangenti.
Da queste accuse D’Alfonso adesso dovrà difendersi, di questo ha parlato ieri sera lungamente con il suo avvocato Giuliano Milia, che attorno a mezzanotte e mezza ha lasciato l’abitazione del sindaco che, la scorsa settimana si era difeso di fronte al sostituto procuratore Varone, dicendo di non sapere nulla delle presunte dazioni di denaro. D’Alfonso era stato rieletto sindaco nella primavera scorsa e quattro mesi dopo si era trovato, come segretario regionale del Pd, a fronteggiare gli arresti del presidente della Regione Ottaviano Del Turco e di due assessori.
Il capo della squadra Mobile Nicola Zupo e il dirigente della Polizia Pasquale Sorgonà hanno notificato al sindaco il provvedimento firmato dal gip Luca De Ninis alle 22.30 di ieri, quando D’Alfonso era appena rientrato nella sua abitazione di Salita Zanni. Pochi minuti prima, lasciando il Comune, ai suoi assessori e ad alcuni dei consiglieri fidati aveva detto senza dare altre spiegazioni dopo la riunione di giunta: «Io sono una persona onesta. Adesso mi fermerò per un anno per difendermi».
Luciano D’Alfonso si era congedato da loro alle 22.15. Al suo arrivo a casa ha trovato ad attenderlo la polizia. «Questo non è un paese civile» avrebbe commentato il primo cittadino aprendo la porta alla polizia. Per lui, così come per le altre due persone arrestate con lui, è stata decisa la detenzione domiciliare. Dopo la diffusione della notizia, fino a tarda notte, giornalisti e fotografi hanno aspettato di fronte alla questura dove, dopo gli arresti, il pm Varone ha tenuto una riunione con i dirigenti della polizia e i loro collaboratori. Da una delle stanze si sono sollevati applausi: al capo della mobile è stata regalata una maglietta con la scritta Zuperman.
Al centro dell’inchiesta condotta dal sostituto procuratore Gennaro Varone, un’indagine che ha minato l’amministrazione D’Alfonso e che ieri sera si è conclusa con la più clamorosa delle decisioni, ci sono due appalti: quello da 18 milioni di euro per l’ampliamento e la gestione dei due cimiteri di Pescara, a Colle Madonna e a San Silvestro, assegnato alla Fidia di De Cesaris, e il mega-appalto da 60 milioni di euro per la riqualificazione dell’area di risulta, assegnato alla Toto Costruzioni prima di essere revocato a seguito di una serie infinita di polemiche.
Secondo gli inquirenti, in particolare, D’Alfonso avrebbe ricevuto da Toto viaggi gratis in aereo, denaro, l’assegnazione di una autovettura con autista-factotum, oltre a una serie di finanziamenti per i quali la contropartita sarebbe stata l’assegnazione del gigantesco appalto per la sistemazione dell’area di risulta nell’ambito di un rapporto privatistico. La truffa si sarebbe invece concretizzata, questo è l’ipotesi della procura, nella distrazione di fondi pubblici utilizzati per coprire spese elettorali. Ma se questo è il fulcro dell’inchiesta choc che decapita la giunta di Pescara nel modo più cruento, proprio nella sera del crollo elettorale del centrosinistra, altri sarebbero gli episodi contestati al sindaco.
Gli inquirenti parlano di una serie di episodi corruttivi anche relativi a piccole somme accertati a partire dal 2005. Prova di questi episodi sarebbe stata trovata anche nell’elenco cifrato contenente nomi e somme sequestrato nell’ufficio di Guido Dezio in Comune, una lista in cui erano contenuti nomi di imprenditori e presunte dazioni. Tutte le voci dell’elenco sarebbero state verificate e per tutte, secondo gli inquirenti, sarebbe stato accertato che si trattava di tangenti.
Da queste accuse D’Alfonso adesso dovrà difendersi, di questo ha parlato ieri sera lungamente con il suo avvocato Giuliano Milia, che attorno a mezzanotte e mezza ha lasciato l’abitazione del sindaco che, la scorsa settimana si era difeso di fronte al sostituto procuratore Varone, dicendo di non sapere nulla delle presunte dazioni di denaro. D’Alfonso era stato rieletto sindaco nella primavera scorsa e quattro mesi dopo si era trovato, come segretario regionale del Pd, a fronteggiare gli arresti del presidente della Regione Ottaviano Del Turco e di due assessori.